cucina la scena; ed io aggiungo, cucina di un'osterìa mezzo perduta tra i monti.
Nella quale, ora, l'ombra ha inghiottito un giòvane di sèdici anni, seduto in un canto. Chi,
verso le sei, la chiacchierava alla porta, avèalo visto a venire e ad entrare, lo schioppo a tracolla,
un cane ai tacchi. Era, la giubba sua, frustagno, ma la fòdera, seta. E il giovanetto, di dove avea
pranzato non si era più mosso; insieme alla frutta, sopragiungèvan le tènebre.
Sìano le benvenute! Sentìvasi stanco, forse. Scarpe di montanaro, nelle montagne, non
bàstano. Allora, la ostina avea deposte inaccese le due stoppiniere dal piattel verde di latta sopra la
tàvola, e, mentr'ei si stendeva, chiudendo gli occhi, su 'na panchetta di legno, zitta, era andata a
sedere sulla predella del vasto camino e si appoggiava, come a dormire, contra uno stìpite. Il
bracco poi, lappata la sua foppa di galba, e leccàtosi i baffi, già stàvasi accovacciato a pie' del
padrone, i nottolini giù di tutti e tre il solo che non facesse per finta.
Infatti, sotto palpèbra, il giòvane teneva lo sguardo fiso nella fanciulla. In confidenza, essa
l'avea turbato fin da principio, quando, con una di quelle voci soavi, di argento, che ricèrcan le
vene, avèagli detto «buon dì», mentre, intorno alla voce, appariva il più bel gràppolo di giovinetta
che mai. E, com'egli avea voluto, per dare passata alla emozione che gl'imbragiava la gota,
arrischiarsi a delle disinvolture, ajutando, ad esempio, l'ostina a dispiegar la tovaglia, a porre giù i
tondi e i bicchieri, a cavar l'àqua dal pozzo, questa emozione era invece aumentata; così, egli avea
scelto un cibo per l'altro, bevuto àqua per vino... poi, si scottava, tagliava... Tènebre, oh benedette!
Chè, protetto da esse, Guido ora pasceva la vista nella fanciulla, aggruppata al camino, e
illuminata, a tratti, dal chiaror di uno stizzo. Con gli occhi, il giovanetto accarezzava, ricarezzava il
viso di lei malinconicamente inclinato, dai colori contadineschi ma dal profilo di dama, e la sua
bocca da baci, e il mento dal «sigillo di Amore»; poi, si godeva a smarrire nei folti e castagnini
capegli; poi, sostato all'orecchio sur il grassello incorallato, veniva giù giù con le volte più tonde
per un vèrgine corpo, sciutto, sveltìssimo. E ritornava ai capegli, e vi scopriva un bottone di rosa.
Oh felici le mani che ve l'avèano messo! Pur non èran le sue! e, sospirando, invidiava colui del
quale la giovinetta sognava.
Or, chi era colui? Più di una volta, ella avea arrossato, e non di certo pel calor della fiamma.
La giovinetta sentiva la presenza di Guido; stava, direi, in una attesa vaga, che la mano di lui le
frisasse la spalla; e desiosa e temente. Oh! com'egli era gentile! La ostina non poteva fuggire di
confrontarlo con que' suoi rozzi paesani, che non venìvan da lei se non per pigliare la sbornia e
attaccar delle liti, e le dicèvano brutte e villane parole, e le buffàvano in faccia il lor ributtante
tabacco. Poi, quanto bello! (quì la ostina aggricchiava). Essa ancor lo vedeva con quel suo viso
aperto, dal velluto di pesca, il sorriso che rischiarava, la pupilla azzurrina, buona come la stessa
bontà. Ma lui era ricco, lui! essa lavava i piatti!
E lì, gonfi gli occhi, affisàvasi giù.
Momenti, per tutti e due, di un acuto languore; momenti fuor dagli spazi e dai tempi, in cui
scorgèano, in una, migliaja di cose e di affetti a indefiniti contorni; momenti, che la mùsica solo
universal lìngua saprebbe narrare.
Il silenzio, profondo; il cielo, stellato.
E così stèttero? quanto?... Non guardai l'orologio. So tuttavìa che sarèbberci stati molto e
molto di più, se dalla chiesa vicina non fòsser piovuti sulla osterìa, gravi, severi, lenti, ùndici
tocchi.
Quella, era una voce che rassegnata diceva «il tempo passa». E tàque.
Ma, quasi contemporaneamente, udissi un trac nella stanza. Tosto, il grido aspro del cùculo
ripetè l'ora.
E questo, un corollario maligno alla sentenza del campanile. Parea dicesse «dùnque, svelti!»
E, trac, l'usciolo si chiuse.
La giovinetta si alzò con premura. Venne alla tàvola, tolsene una stoppiniera, e, tornata al
camino, chinossi e l'accese.
Guido levò pure su. Prese la seconda bugìa, e, fàttosi, presso alla bella, le dimandò con la
voce lì lì per tremare «una càmera».
Venga disse in mezzo tono colei; e precede' Guido. E, uno dietro dell'altro, salìrono
una scaluccia, stretta; salìrono lentamente, come se in cima li attendesse la scure. Pur tuttavìa,
avrèbber voluto la scala, lunga non a gradini a miglia.
Senonchè, ecco il primo ripiano.
E si fèrmano là. Guido bassa la candela di lui, intatta, verso l'accesa di lei; quanto agli
sguardi, sono bassi di già, chè ciascuno si crede sotto quelli dell'altro
Diàvolo di uno stoppino! non vuoi pigliare, eh? È Amore che ti filò? ti par di troppo anche