Download PDF
ads:
TITOLO: Saggio sopra la lingua francese
AUTORE: Francesco Algarotti
TRADUTTORE:
CURATORE: Ettore Bonora
NOTE:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
TRATTO DA: Illuministi italiani
R. Ricciardi Editore
Collana: La Letteratura Italiana
Milano-Napoli, 1969
Comprende:
2: Opere di Francesco Algarotti
e di Saverio Bettinelli
a cura di Ettore Bonora
CODICE ISBN: informazione non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 12 gennaio 2000
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Alessandro Levati, [email protected]
REVISIONE:
Edda Valsecchi, [email protected]
PUBBLICATO DA:
Alberto Barberi
ads:
Livros Grátis
http://www.livrosgratis.com.br
Milhares de livros grátis para download.
SAGGIO SOPRA LA LINGUA FRANCESE
. . . sectantem laevia nervi
deficiunt animique.
Horat., in Arte poet.
_____
AL SIGNOR MARCHESE SCIPIONE MAFFEI
Avviene assai volte che colui il quale è straniero in una faccenda ne formi un più retto
giudizio, che non soglion fare coloro a' quali appartiene la faccenda medesima; quasi a quel modo
che gli abitanti della luna potrebbono del nostro globo descrivere una mappa molto più esatta, che
fare non si può da noi stessi che lo abitiamo.
Non ardirei dire che a me, forestiero della lingua francese, fosse avvenuto lo stesso nel
ragionare di quella. Dirò bene che, conversando co' più dotti Francesi, e rivolgendo le opere loro,
potrei conoscere a prova che certe considerazioni da me fatte sopra le forze, la portata e l'indole di
quella lingua non discordavano punto da quanto in tal proposito essi sentivano; essi che con la
scorta della dottrina uscendo fuori del proprio paese e potendolo in certa maniera meglio
considerare, erano in istato di parlare senza passion d'animo delle cose loro e di recarne un sano e
fondato giudizio.
Ora queste medesime considerazioni io le pongo sotto gli occhi di lei, signor Marchese,
come di uomo principe della repubblica delle lettere e amicissimo mio. Parmi in tal modo venir
ragionando con lei e rinovare a me medesimo quel tempo che io la vidi già in Francia e in
Inghilterra far tant'onore all'Italia. Con sagace discernimento Ella vi pesava il valore degli uomini
scienziati, il differente ingegno delle nazioni, la varia indole delle lingue, quasi un novello Ulisse
tra i letterati. E non altrimenti che dalla bocca di lui, venivano dalla sua parole piene di eloquenza
e di dottrina, come neve
che senza vento in un bel colle fiocchi.
Queste parti di Europa, dove io mi trovo da qualche tempo, Ella non le ha toccate per
ancora. già Ella, signor Marchese, vorrà che si dolgano dal non essere state visitate da lei. Un
bel campo aprirebbono certamente alle speculazioni del suo ingegno, presentandole in cose
moderne il fiore della virtù antica, le lettere addomesticate con l'armi, un sapiente in sedia reale. E
nella bocca di lui Ella udirebbe quella lingua, di che io ragiono, prender come novelli spiriti per
ispiegar nettamente le cose più difficili e nobilmente dipingere le meno elevate. Vedrebbe i pensieri
sortire dalla mente di lui rivestiti delle più vive espressioni, come dissero che Minerva sortì armata
di tutto punto dal cervello di Giove.
Berlino, 10 marzo 1750.
_____
SAGGIO SOPRA LA LINGUA FRANCESE
Da non picciola maraviglia dovrà esser presa buona parte degli uomini di lettere al vedere
come la lingua francese, la quale si parla da tanti secoli in un paese ridotto sotto a un principe solo,
sia stata sempre incerta e mutabile; e solamente da picciolo tempo in qua ricevuto abbia un qualche
regolamento; dove la lingua italiana, la quale si parla in un paese diviso in tanti stati come è il
nostro, è venuta su quasi dalla prima sua infanzia bella e formata, ha ricevuto regole di buon'ora e
da quel tempo sino a' giorni nostri si è mantenuta sempre la istessa. Se non che considerando
ads:
attentamente la storia di esse lingue, e facendone in certo modo la genealogia, viene a scemare
moltissimo, se non a svanire del tutto, la maraviglia.
Allora egli sembra che una lingua si abbia a chiamare ferma e compiuta, quando in essa
sorgono scrittori tali, che nella prosa come nel verso vengano a dare espressione per ogni cosa e
per ogni concetto. E ciò appunto è avvenuto in Italia; dove dal bel principio sorse un Dante con quel
peregrino suo poema, nel quale imprese a descrivere fondo, siccome egli dice, a tutto l'universo.
Oltre all'esser egli stato secondo i suoi tempi in ogni genere di dottrina versatissimo, sicché avea
fatto in mente grandissimo tesoro di cose, e oltre all'aver sortito per vestirle di belle immagini una
fantasia oltre ogni credere vivace e gagliarda, ebbe una discrezione somma nell'accattare e scegliere
da tutte parti d'Italia i più accomodati modi da esprimerle. Onde meritamente di nostra lingua è
chiamato padre e re; come quegli che non avendo predilezione più per una provincia che per
un'altra, ne ridusse le varie favelle come in un corpo solo, e le particolari ricchezze di quelle volle
rendere a tutta Italia comuni. E nel medesimo secolo apparirono dipoi, per non parlar del Villani,
del Passavanti e di parecchi altri pulitissimi scrittori, il Boccaccio e il Petrarca, i quali col trattare
argomenti più gentili e piani, al corpo di questa nostra lingua vennero a dare il suo compimento;
quasi come Raffaello, che venne a perfezionar la pittura dando morbidezza e grazia alla grandiosità
e alla fortezza di Michelagnolo. E però mediante la eccellenza di quei primi scrittori, e
singolarmente di quei tre, Dante, Boccaccio e Petrarca, che sono quasi i triumviri del bel parlare, e
lo studio che fu posto in essi, la lingua italiana di volgare e mutabile divenne ben presto
grammaticale e perpetua.
All'incontro la lingua francese, assai più antica della nostra, sino al regno di Francesco Primo
andò vagando senza regole, senza precetti, senza autori di conto;quasi ebbe altr'anima, dirò così,
salvo che la necessità in cui sono tutti gli uomini di dover comunicare co' segni delle parole i propri
concetti tra loro. Francesco Primo, chiamato in Francia padre delle lettere, fece molti provvedimenti
perché le maniere si formassero dei Francesi, e con esse la lingua. In sullo esempio de' principi
italiani, ch'erano a quei tempi specchio di pulitezza, prese a favorire gli scienziati, i poeti e gli artisti
di ogni maniera, chiamò i prelati e le principali donne del regno ad abbellire la corte, avvisando che
il consorzio di esse raddolcir dovesse la favella e le maniere di una nazione data tutta al mestiero
dell'armi; e come principe savio non meno che amator delle lettere, statuì che i pubblici atti nella
giurisprudenza, i quali sino a quel tempo s'erano distesi in latino, distendere si dovessero d'allora
innanzi in francese. E così la lingua ricevendo aumento, salisse in maggior pregio, e fosse innanzi
agli occhi del popolo di maggior dignità. Non andarono del tutto vani i disegni di quel culto e
magnanimo re. Ingentilì di molto al tempo suo la nazione, ne fu coltivata la favella, e vi fiorirono
tali scrittori, che per certa ingenuità e grazia di dire tengono tuttavia il campo, essendo anche al
d'oggi nel genere loro riputati maestri.
E già la lingua era in via di giugnere alla perfezion sua, quando i molti Italiani che Caterina
de' Medici, nuora di Francesco Primo, ebbe di seguito in Francia, ne ritardarono alquanto i
progressi. Caduta al tempo della reggenza di quella signora gran parte dell'autorità regia nelle loro
mani, era pur naturale ch'essi desser l'orme alla corte, e avesse la voga tutto quello che ad essi
apparteneva o da essi in qualche modo veniva. Se adunque non poterono introdurre la loro lingua in
Francia, furono però da tanto, che della loro si venisse a tingere la francese. Tal frase forestiera
uscita di bocca a un ministro fu ripetuta dai cortigiani per gentilezza e divenne poco stante di moda.
Lo stesso succedette di un'altra, e così via discorrendo. In somma la lingua francese si venne per tal
modo a sformare. E fu in picciol tempo talmente pezzata e sparsa d'italicismi, che il famoso Arrigo
Stefano non si poté tenere di non levarsi contro a quel morbo epidemico che, passate le Alpi, s'era
diffuso nella patria sua; e credette debito di buon Francese l'opporsi egli solo con la penna a tutta la
Toscana, e a un tanto e così universale disordine. Benché, come era pur naturale, egli venne d'indi a
non molto a finir da se stesso insieme con l'autorità e signoria de' forestieri, che aver non potea
lunga vita.
Nel medesimo tempo apparì Ronsardo, riputato allora il principe de' poeti, a cui furono in
vita decretati quegli onori de' quali godé Omero dopo morte. Costui cercò non solo di richiamar la
liungua verso i princìpi suoi, depurandola da quello che vi s'era intruso di forestiero e che gli eruditi
chiamavano barbarie; ma, considerando il basso stato in cui ella era, cercò ancora di accrescerla e
d'innalzarla al grado de' più dotti linguaggi e più cari alle Muse. V'introdusse le trasposizioni, le
parole composte, delle maniere in tutto nuove; si studiò di far sì che negli ardiri, nella energia, nella
copia e in ciascun altro pregio si potesse agguagliare alla stessa greca; e nella lingua francese così da
esso raffazzonata si mise a comporre dei saggi sull'andare di Pindaro, di Callimaco, di Teocrito, di
Omero. Dove Ronsardo avrebbe forse ottenuto assai più, se avesse tentato meno; e parve accadesse
a lui come a coloro che, volendo in un subito cangiare un governo a cui un popolo sia da lungo
tempo avvezzo, non altro sogliono fare che maggiormente confermarlo. Infatti mentre i dotti
mettevano in cielo il poeta e le poetiche sue valentie, si nauseò il popolo al sentire tutto a un tratto
non solo costruzioni inaudite sino allora, ma parole del tutto strane e pedantesche; quelle per atto di
esempio ond'è composto quel suo noto verso:
Ocymore, dysptome, oligocronien,
e parecchie altre, che andò incastrando, quasi peregrini gioielli, nel suo nativo linguaggio. E per
verità coll'introdurvi que' suoi tanti grecismi, se di tanto però fosse stata l'autorità sua, egli avrebbe
reso la lingua francese un corpo niente meno eterogeneo e deforme, che si facessero i cortigiani di
Caterina de' Medici con que' loro italicismi.
(
1
a)
Nei regni dipoi di Arrigo III e di Arrigo IV, che succedettero a Carlo IX, a tempo del quale
fiorì principalmente Ronsardo, la Francia per le guerre civili che continuamente l'afflissero, ebbe
piuttosto dei capi di fazioni nelle armi, che dei capiscuola nelle lettere; se si eccettua Malherbe,
scrittore di moltissima esattezza e di poca fantasia. Diedesi costui a regolare principalmente la
versificazione, sicché i versi non si accavallassero insieme, ciascuno di essi contenesse un intiero
membretto del sentimento e tutti procedessero in certo modo paralleli tra loro, introducendo nello
stile poetico quella simmetria che ne' tempi appresso introdusse il Le Nautre nell'arte del piantare i
giardini, che dovrebbero essi ancora, non meno che la poesia, secondare ed esprimere i più belli
effetti della natura.
(
b)
Finalmente quiete le cose nel regno sotto Luigi XIII, il cardinale di Richelieu, che tanto avea
operato per la gloria della monarchia francese, deliberò di fare altrettanto per la lingua; e fondò in
Parigi un'Accademia a imitazione di quella che fondata si era in Fiorenza sotto il titolo di
Accademia della Crusca, la quale di tutto ciò che si appartiene al bel parlare e al correttamente
scrivere dovesse aver cura e governo.
Ma se la instituzione e il fine delle due Accademie furono gli stessi, diverse pur troppo
furono le circostanze e i tempi in cui ebbero il principio. La nostra venne in tempo che per il corso
di due secoli e più era stata da' più rinomati scrittori stabilita e regolata la lingua. Oltre Dante, il
Petrarca e il Boccaccio, che ne sono chiamati i tre lumi, e oltre a quelli che nel medesimo secolo
seguirono le tracce loro, non mancò la età susseguente di autori di conto, come il Poliziano, che
nelle sue Stanze si accostò con lo splendor della espressione a Virgilio, ed il Pulci, che per la
evidenza dello stile gareggiò nel suo Morgante con Omero. Quanti degni scrittori non videro dipoi
gli aurei tempi di Leone? Il Castiglione, che quanto al linguaggio volle nella prosa far quello che
1
(a)
"Ronsard avoit trop entrepris tout-à-coup. Il avoit forcé notre langue par des inversions trop hardies et obscures.
C'étoit un langage cru et informe. Il y ajoûtoit trop de mots composez, qui n'étoient point ancore introduits dans le
commerce de la nation. Il parloit françois en grec, malgré les François mêmes: Il n'avoit pas tort, ce me semble, de tenter
quelque nouvelle route pour enrichir notre langue, pour enhardir notre poësie et pour dénoüer notre versification
naissante. Mais en fait de langue, on ne vient à bout de rien sans l'aveu des hommes, pour lesquels on parle. On ne doit
jamais faire deux pas à la fois, et il faut s'arrêter dès qu'on se ne voit pas suivi de la moltitude. La singularité est
dangereuse en tout. Elle ne peut être excuseé dans les choses qui ne dépendent que de l'usage". Fénelon, Lettre à
l'Académie Françoise, art. V.
(
b)
"Malherbe a toujours passé pour le plus excellent de nos pöetes: mais plus par le tour et par
l'expression, que par l'invention, et par les pensées". St.Évremont, t. V, Jugement sur quelques
auteurs françois.
"Malherbe est inimitable dans le nombre et dans la cadence de ses vers; mais comme Malherbe avait plus d'oreille que
de génie, la plûpart des strophes de ses ouvrages ne sont recommendables que par la mécanique et par arrangement
harmonieux des mots pour lequel il avoit un talent merveilleux. On n'exigeoit pas même alors que le pöesies ne fussent
composées, pour ainsi dire, que de beautés contigües. Quelques endroits brillants suffisoient pour faire admirer toute
une pièce. On excusoit la foiblesse des autres vers, qu'on regardoit soulement comme étant faits pour servir de liaison
aux premiers, et l'on appelloit, ainsi que nous l'apprenons des Mémoires de l'abbé de Marolles, des vers de passages".
Du Bos, Réflexions critiques sur la poésie et sur la peinture, seconde partie, sect. XIII.
Dante avea fatto nella poesia, scrivendo in una quasi comune favella d'Italia, il Guicciardini autore
gravissimo ed ampio, il Segretario fiorentino conciso, pieno di nervi e di cose, il Bernio tutto sapore
e festività, che da tanti è stato imitato ed è tuttavia inimitabile. E per passare sotto silenzio di altri
molti, il Bembo aveva a quel tempo, con la sua diligenza e con grandissimo studio posto sopra gli
autori più classici, dato le regole della nostra lingua, e l'avea ridotta a sistema. L'Accademia dunque
della Crusca non altro ebbe a fare, che da tutti gli autori che per così lungo tempo e trattando così
diverse materie, formata aveano, accresciuta e nobilitata la lingua italiana, raccoglier voci e modi di
dire, e nel suo Vocabolario mettere ogni cosa a registro. Talmente che i Medici vennero a creare un
corpo di tesorieri, in tempo che di tesori non era punto voto l'erario.
Il Richelieu, per lo contrario, fondò l'Accademia francese in tempo che di buoni autori
scarseggiava pur troppo la Francia. Ronsardo, che tanto avea fatto per la lingua e alla cui tomba
sarebbono un giorno iti in pellegrinaggio, secondo che dicevasi, i devoti delle Muse per ottenerne il
dono della poesia, era dimenticato nella medesima sua tomba coperta soltanto dai secchi fiori che vi
aveano a piene mani gittato i suoi contemporanei. Gli scrittori che avessero allora un qualche grido
erano Marot, il cui stile grazioso si rimaneva quasi un segno della protezione accordata da
Francesco Primo alle lettere, Montagna, forse egualmente licenzioso nello scrivere che libero nel
pensare, dominato in ogni cosa dalla calda sua immaginativa, Malherbe, regolatore della poesia, e
Balzac, vivente a quei giorni, che avea preso a regolare la prosa francese; orator gonfio e pieno di
vento, come Malherbe era poeta secco e vuoto di sugo. Quell'autore, da cui ha principio l'epoca
letteraria della Francia, il gran Cornelio, non era ancor giunto al colmo della celebrità sua;
incominciava solamente a quel tempo a far figura trasportando nel teatro francese le ingegnose
invenzioni dello spagnuolo. Non era ancora venuto in scena Racine, che arricchì quel teatro delle
spoglie dei Greci, scrittore elegante e purissimo, a cui erano così note ed agevoli le vie del cuore,
non La Fontaine, che con tal naturale finezza seppe seppe nelle sue favole far parlare gli animali,
non Pascal uomo eloquentissimo, i cui scritti da un secolo in qua non hanno invecchiato neppure di
una parola, non Despréaux chiamato il poeta della ragione, che la bile di Giovenale seppe talvolta
correggere col grazioso stile di Orazio, non Molière, le cui opere immortali sono condite di un sale
assai meglio preparato che non è il plautino, che in ogni cosa che prese a trattare toccò il fondo e fu
tra' Francesi nelle cose d'ingegno del medesimo calibro, che nelle militari il Turenna; non tutti
quegli altri scrittori che al tempo di Luigi XIV distesero ancor più con l'ingegno la gloria del nome
francese, ch'egli non fece per avventura con l'armi.
Tale essendo allora lo stato delle lettere in Francia, non poté quell'Accademia, come fece la
nostra della Crusca, cogliere il più bel fiore degli scrittori che non aveano fiorito per ancora; ma
pensò di mondare, purificare e venir formando la lingua a benefizio degli scrittori che doveano
venire dipoi. Adunque ella si mise a purgarla di moltissime voci e maniere di dire, o come troppo
ardite, o come rancide, o come malgraziose o di tristo suono. Di moltissimi diminutivi e superlativi
la spogliò,
(
c)
di parecchi addiettivi che esprimevano la qualità delle cose, di alcuni relativi che non
poco facevano alla chiarezza. La volle meno contorta, nella locuzione più piana ed agevole che non
era dianzi, di un andamento sempre eguale, talmente che nel periodo la collocazione delle varie
particelle della orazione fosse sempre la istessa, e la venne assoggettando alle regole più severe ed
inesorabili della sintassi; e fu chi disse che l'Accademia dando a' Francesi la grammatica, avea loro
levato la poesia e la rettorica.
Moltissimi romori hanno fatto sempre levare le Accademie di lingua in quelle nazioni tra le
quali furono erette. E ciò è pur facile che avvenga; essendo di loro natura il mettere un tal qual freno
agli scrittori di una repubblica che per ogni conto si crede libera. Di qui è forse nato che tra
gl'Inglesi non fu mai colorito il disegno che di fondarvi un'Accademia della Crusca fu proposto a'
tempi di Carlo II dallo Sprat e poi dal celebre Swift a' tempi sella regina Anna. Credette quella
nazione dovere anche in questo seguir l'esempio dei Romani e dei Greci, le cui lingue tanto
fiorirono e montarono a tanta altezza, forse anche perché ad esse non furono tarpate le ali dagli
(
c)
"Un gentilissimo e pulitissimo scrittore esalta la moderna lingua francese, perché non ammette i diminutivi; biasima
l'antica, perché gli costumava, non loda l'italiana, perché ne ha dovizia. Io per me sarei di contrario avviso, e crederei
che i diminutivi fossero da noverarsi tra le ricchezze delle lingue, e particolarmente se con finezza di giudizio, e a luogo
e tempo sieno posti in uso. La lingua italiana si serve non solamente de' diminutivi; ma usa altresì i diminutivi de'
diminutivi, e fino in terza e quarta generazione". Redi, annotazione alla voce di Brillantuzzo nel Bacco in Toscana.
statuti delle Accademie. Ad alcuni de' nostri sembrò medesimamente che un qualche torto venisse
fatto alla nostra favella col Vocabolario singolarmente della Crusca; quasi che con esso siasi voluto
fermare il corso di una lingua vivente, e segnandone i limiti, siasi anche preteso assegnarne per
sempre i confini. Ma tale non è da credere sia stata la intenzione degli Accademici. Non avvisarono
essi forse mai che il contare le nostre ricchezze fosse uno sminuirle o impedire altrui il modo di
accrescerle. Pensarono piuttosto che, quantunque l'uso governi a suo talento le lingue, faccia
invecchiare tal voce e la metta fuori dal consorzio, a tale altra dia vita e fiore di gioventù, pur è ben
fatto che ci sia una generale conserva della lingua; e pensarono che nelle dubbietà ed incertezze
grammaticali l'autorità degli scrittori veramente classici dovesse esser quello che nella milizia è la
insegna a cui ricorrono i soldati, se per qualche accidente sieno posti in disordine.
Quanto all'Accademia di Francia, furono per avventura più fondati i romori che contro ad
essa si levarono. Ciò che regolò la lingua francese fu non tanto l'uso, a cui non si badò gran fatto, né
tampoco l'autorità degli classici scrittori, a cui ricorrere non poteano, quanto il gusto di coloro che
sedeano a quel tempo nel tribunale dell'Accademia. Insieme col Vaugelas, che ebbe la cura del
Dizionario e della Grammatica, erano di grande autorità i Capellani, i Faret, i Desmarets, i Colletet,
i Saint-Aman, i Baudoin, i Godeau; autori la più parte sepolti nella obblivione o noti soltanto perché
condannati ad essere mai sempre ridicoli dal Satirico francese. Troppo avea dello strano che uomini
tali esser dovessero i legislatori del bel parlare. Fu posto tra le altre a sindacato quel loro decreto
intorno all'uniformità della costruzione, per cui il nominativo deve sempre aprir la marcia del
periodo tenendo il suo addiettivo per mano; séguita il verbo col fido suo avverbio, e la marcia è
sempre chiusa dall'accusativo, che per cosa del mondo non cederebbe il suo posto. Dicevano che il
costringer la lingua a camminar sempre di un modo, come fanno le camerate de' seminaristi i più
picciolini innanzi e dietro i più grandicelli di mano in mano col prefetto in coda, che il privarla di
ogni trasposizione è un renderla fredda e stucchevole, è un privarla del miglior mezzo di allontanare
le espressioni le più semplici dal comune parlare, è un tagliarle la via di sostenersi sicché non dia
nel basso. Infatti quel verso di Orazio, ponendo un esempio,
Quo teneam vultus mutantem Protea nodo?
non sarebbe egli cosa triviale, e non darebbe in terra, se il poeta fosse stato da una più rigorosa
grammatica costretto di dire
Quo nodo teneam mutantem Protea vultus?
E lo stesso sarebbe di quell'altro nostro
In campo nero uno armellino ha bianco,
che saria bassissimo, se al grazioso autore fosse convenuto dire
In campo nero ha un armellino bianco.
Tanto può la giacitura delle parole, levata la quale si viene il più delle volte a levare al
discorso armonia, grazia, sospensione e dignità. Così dicevasi contro alle nuove regole
dell'Accademia
(
d)
. Dicevasi ancora che troppo con esse si veniva a cavillare, che troppo scrupolose
erano le correzioni, troppo ingiuste le censure contro a que' modi di dire che tanto o quanto avessero
dell'irregolare;
(
e)
buona parte delle figure grammaticali non altro essendo in sostanza che altrettanti
(
d)
"L'excès choquant de Ronsard nous a un peu jettez dans l'extrémité opposée. On a appauvri, desséché et gêné notre
langue. Elle n'ose jamais procéder, que suivant la méthode la plus scupuleuse et la plus uniform de la grammaire. On
voit toujours venir d'abord un nominatif substantif, qui mène son adjectif comme par la main. Son verbe ne manque pas
de marcher derrière, suivi d'un adverbe, qui ne souffre rien entre deux, et le régime appelle aussi-tôt un accusatif, qui ne
peut jamais se déplacer. C'est ce qui exclut toute suspension de l'esprit, toute attente, toute surprise, toute variété et
souvent toute magnifique cadence". Fénelon, Lettre à l'Acad. Franç., art. V.
(
e)
"Notre langue manque d'un grand nombre de mots et de phrases. Il me semble même, qu'on l'a gênée et appauvrie
depuis environ cent ans en voulant la purifier . . . On a retranché, si je ne me trompe, plus de mots qu'on n'en a
errori di lingua, ma errori commessi da coloro che le indole conoscono e il particolare idioma delle
passioni, e sanno che la grande arte dello scrivere è il bene imitar la natura. Aggiugnevano che
quanto Ronsardo avea cercato di rendere la lingua nerboruta, animosa e varia, altrettanto
l'Accademia l'avea resa effettivamente timida, uniforme e floscia; che volendo preparare i materiali
alla eloquenza francese, s'erano levate alla locuzione più maniere di grazie e tante maniere di dire
alla comun massa della lingua, che le volpi di Sansone, secondo la espression del La Mothe, non
menarono tanta strage nelle biade de' Filistei, quanto aveano fatto nella messe della lingua le
regolazioni degli Accademici.
(
f)
E senza parlare della pasquinata, o vogliam dire della aristofanica
commedia che scrisse contro di loro S. Évremont,
(
g)
egli non è dubbio che di gentilmente staffilargli
non intendesse Molière, quando l'aprimento dell'Accademia delle sue donne saccenti si ha da
solennizzare con quelle ridicole proscrizioni di nomi e di verbi che l'una donna lascia in balìa
dell'altra, e de' quali intendono purgare così la prosa come la poesia.
(
h)
Ma non solo ne' primi tempi, quando ogni novità trova dei contrari, si udirono dei clamori
contro alla riforma; ma si seguitò ancora ad udirgli nei tempi appresso, e s'odono ancora tuttavia.
Oltre a Molière, il quale benché comico di professione, non era solito riprendere se non quello che
andava veramente ripreso, Racine confessa che la grazia del sermon prisco, non era da esser
uguagliata dal parlar de' moderni.
(
i)
Madama Dacier d'un sentimento e di un cuore col dotto suo
marito, ebbe a richiamarsi delle strettezze a che fu ridotta la propria lingua, dicendo espressamente
che se non manca de' più grossi colori, è poi mancante delle tinte più dilicate; che sarà per avventura
bastante a render felicemente due, quattro, e sei versi d'Omero, come ha fatto maneggiata da un
Despréaux o da un Racine, ma che non regge a lungo andare e si accoscia impar congressus
Achillei
(
l)
. Le medesime cose a un dipresso, per tacere di parecchi altri, ebbe a ripetere Monsieur
introduit.". Fénelon, Lettre à l'Acad. Franç, art. III.
(
f)
"On dit indifféremment: Je le vous dirai et Je vous le dirai. Toutes les langues ont cette
variété de locution pour ornament, et c'est une pure fantaisie de le vouloir oster à la nostre". Lettre
LVIII.
"Mais encore n'éstoit-il pas juste de laisser établir sans dire mot de certaines maximes qui vont à la destruction de notre
langage. Vous avez veû le nombre prodigieux de dictions et de phrases, qu'il veut abolir. Jamais le renards de Sanson ne
mirent tant de solation dans la moisson de Philistines, que ce remarques sont capables d'en causer parmi tout ce que
nous avons d'oeuvres d'éloquence. Et à laisser aller les choses de la sorte, nous tomberions bien tôt dans la disgrace dont
Sénèque s'est plaint, il commence une de ses Épitres de la sorte: 'Quanta verborum nobis paupertas immo egestas sit,
numquam magis quam hodierno die intellexi', Ep. 59. Quintilien a fait depuis la même complainte en ces termes: 'Iniqui
iudices adversus nos sumus, ideoque paupertate sermonis laboramus', L. 8, Inst., c. 3". Lettre LIX.
(
g)
Les Académiciens, t. I delle sue opere; il titolo era da prima Comédie des Académistes pour la réformation de la
langue françoise. Vedi Vita di S. Évremont, scritta da M. Des Maizeaux, sotto l'anno 1643. In essa gl'interlocutori sono
M. Le Chancelier Seguier, Godeau, Évêque de Grasse, Des Marets, Chapelain, Colletet etc.
(
h)
Pour la langue on verra dans peu nos règlemens,
et nous y prétendons faire des remuemens.
Par une antipathie ou juste, ou naturelle,
nous avons pris chacune une haine mortelle
pour un nombre de mots, soit ou verbes, ou noms,
que mutuellement nous nous abandonnons.
Contr'eux nous préparons de mortelles sentences,
et nous devons ouvrir nos doctes conférences
par les proscriptions de tous ces mots divers,
dont nous voulons purger et la prose et le vers.
Femmes sçavants, act III, scen. II.
(
i)
"Le lecteur trouvera bon que je raporte ses paroles [de Plutarque] telles qu'Amiot les a traduites; car elles ont une
grâce dans le vieux stile de ce traducteur, que je ne crois point pouvoir égaler dans notre langue moderne". Dans la
Préface de Mithridate.
(
l)
"Jamais langue n'a eté si sage, ni si retenue, ou plutôt si gênée et si esclave, que la nôtre". Dacier, dans la note au vers
Quid autem Caecilio etc., de l'Art Poétique d'Horace.
"Que doit-on attendre d'une traduction dans une langue comme la nôtre, toujours sage, ou
plutôt toujours timide, et dans la quelle il n'y a presque point d'heureuse hardiesse, parce que
toujours prisonnière dans ses usages elle n'a pas la moindre liberté". Dans la Préface à l'Iliade, p.
37, édit. de Amsterdam, 1731.
Boyer, quando fece la prova di recare in prosa francese i nerboruti versi dell'Addisono, ne' quali egli
ha rappresentato la nobil fine di Catone
(
m)
Del basso stato in cui fu volta la loro lingua si lagnano
l'elegante Sanadono,
(
n)
quel giudizioso compilatore degli antichi, Carlo Rollino,
(
o)
e quel tanto
celebre filosofo tra' moderni, Pietro Bayle.
(
p)
L'abate Du Bos, secretario dell'Accademia della Crusca
parigina e uno dei più sani ingegni che vanti la Francia, si burla a ragione del buono uomo di
Pasquier, il quale si dava ad intendere che non essere nulla meno dello idioma latino capace il
francese di bei tratti poetici; ed egli mostra in contrario come per la presente meccanica sua
constituzione esso non è musicale pittoresco, che tanto è a dire ritroso, se non ribelle alla
poesia
(
q)
. E in questi ultimi tempi quell'ingegno sovrano del Voltaire, che lascia altrui in dubbio se
meglio scriva in prosa o in versi, e che in ogni genere di stile fa tanto onore alla lingua francese, la
qualifica di una lingua mancante di precisione, di ricchezza e di forza
(
r)
.
In effetto così ha da parere anche a coloro che non maneggiano quella lingua, e non ne
possono per prova conoscere il forte e il debole, tanto è aperta a vedersi la cosa. Chiunque ha
qualche pratica degli scrittori francesi si sarà molto facilmente accorto come negli scritti che sono
anteriori alla riforma dell'Accademia, la lingua francese non era gran fatto, per quello che risguarda
la costruzione, i modi dello esprimersi e quasi direi l'andamento ed il genio, dissimile dalla nostra. E
di ciò ci sono altre ragioni diverse dal passaggiero dominio che sotto alla reggenza di Caterina de'
Medici ebbero i nostri uomini in Francia. Siccome gli antichi Italiani studiato aveano i Provenzali,
maestri a quel tempo di ogni gentilezza, e così di maniere provenzali fu arricchita la nostra lingua,
allo istesso modo i Francesi del tempo di Francesco Primo e de' tempi dipoi studiarono i nostri
autori, da essi appresero più maniere di cose, quelli voltarono nella loro lingua. Ed essa venne a
poco a poco bevendo i colori della nostra, e ne prese talmente le sembianze, che i libri di quel tempo
"Mais cette composition meléè [qui tient de l'austère et du fleuri] source de ces grâces, est
inconnue à notre langue: elle n'admet point toutes ces différences; elle ne sait que faire d'un mot bas,
dur, désagréable; elle n'a rien dans ses trésors, qu'elle puisse employer pour cacher qui est
défectueux; elle n'a ni ces particules nombreuses, dont elle puisse soutenir ces termes, ni cette
différent harmonie qui nait du différent arrangement des mots, et par conséquent elle est incapable
de rendre la plupart des beautez qui éclatent dans cette poësie." Ibid., p. 42.
"Notre poësie n'est pas capable de rendre tuotes les beautez d'Homère et d'atteindre à son élévation; elle pourra le suivre
en quelques endroits choisis: elle attrapera heureusement deux vers, quatre vers, six vers, comme M. Despréaux l'a fait
dans son Longin, et M. Racine dans quelques-unes de ses tragédies: mais à la longue le tissu sera si foible, qu'il n'y aura
rien de plus languissant". Ibid., p. 42.
(
m)
"La langue angloise, rivale de la grecque et de la latine est également fertile et énergique. Elle est de plus, ennemie
de toute contrainte (de même que la nation qui la parle), elle se permet tout ce qui peut contribuer à la beauté et à la
noblesse de l'expression; au-lieu que la françoise énervée et appauvrie par le rafinement toujours timide et toujours
esclave des règles et des usages, ne se donne presque jamais la moindre liberté, et n'admet point d'heureuses téméritez.
Ainsi plus un original anglois est parfait dans le grand et dans le sublime, plus il est rempli d'images vives et de
métaphores hardies, et plus il perd en françois, où les figures un peu fortes et les saillies de l'imagination sont regardées
comme des défauts, pour ne pas dire des extravagances.". Dans la Préface qui est au devant de sa traduction de Caton.
(
n)
"On trouve dans nos écrivains des siècles précédens quantité de termes et de manières de parler tantôt nobles, tantôt
concises, souvent naïves et élégantes, qui nous ont échapé, et qui n'ont point été remplacées". Nella nota Obscurata diu
etc. della Epist. II del Lib. II di Orazio.
(
o)
"Je ne le lis jamais [Amiot] sans regretter la perte d'une infinité de bon mots de ce vieux langage, presque aussi
énergiques que ceux de Plutarque. Nous laissons notre langue s'appauvrir tous les jours, au lieu de songer, à l'example
des Anglois nos voisins, àcouvrir des moyens de l'enrichir. On dit que nos dames, par trop de délicatesse, sont cause
en partie de cette disette, notre langue court risque d'être réduite. Elles auroient grand tort, et devroient bein plutôt
favoriser par leurs suffrages, qui en entraînent beaucoup d'autres, la sage hardiesse d'écrivains d'un certain rang et d'un
certaine mérite: Comme ceux-ci de leur côté devroient aussi devenir plus hardis, et hazarder plus de nouveaux mots
qu'ils ne font, mais toujours avec une retenue et une discrétion judicieuse". T. III de l'Histoire ancienne des historiens
grecs, Plutarque. Vedi ancora t. XI de l'Histoire ancienne des philologues, Pline l'ancien, dans une note.
(
p)
"Il seroit à souhaiter que les auteurs les plus illustres de ce tems- se fussent vigoureusement opposez à la
proscription de plusieurs mots qui n'ont rien de rude et qui serviroient à varier l'expression, à éviter les consonances, les
vers et les équivoques. La fausse délicatesse à quoi on lâcha trop la bride, a fort appauvri la langue. Les meilleurs
écrivains s'en plaignent, je dis les auteurs, qui sont le moins incommodez de cette indigence, et qui trouvent dans le fond
fertile de leur génie de quoi la réparer" etc. Dictionaire, art. Gournai, Rem. (H).
(
q)
Vedi Réflexions critiques sur la poésie et sur la peinture, première partie, section XXXV.
(
r)
"Une langue à peine tirée de la barbarie, et qui polie par tant de grands auteurs, manque encore pourtant de précision,
de force et d'abondance". Ep. à Madame la Duchesse du Maine au devant d'Oreste, éd. de Dresde 1752.
si potriano voltare, senza offensione de' nostri orecchi, quasi parola per parola in italiano. La lingua
francese di allora era tale, che quantunque Montagna si dolga che non la trovava abbastanza
maneggievole, atta a rispondere a una forte immaginativa
(
s)
, avea certamente più varietà, più
vivezza e più schiena che non ha presentemente.
Sembra ch'ella fosse a quei tempi più convenevole al genio e all'indole della nazione che in
essa parlava. già niuno potrà maravigliarsi abbastanza come una lingua così regolata, così
ristretta, così timida, quale ella è ridotta presentemente, sia nelle bocche di una nazione così viva,
pronta e animosa, quale è la francese. Sarà questo per avventura uno de' più illustri esempi della
forza che ha la legislazione di vincer la natura. Malgrado la indole della nazione, malgrado le
doglianze de' più celebri scrittori, tenne fermo l'Accademia quasi una letteraria cittadella posta sopra
l'ingegno e la fantasia della nazione e piantata nel Louvre. Fondata dal re in tempo che dal cardinale
di Richelieu erasi fatto man bassa sulle libertà dei Francesi, tenne anch'essa della condizione del
governo, e trovò quelli più docili al giogo. Tutte quelle espressioni che aveano del robusto e
dell'animoso, parvero troppo ardite in un paese già vinto dalla monarchia e ammollito dalle arti
cortigianesche e dalla servitù. Montagna fu segnatamente proscritto dall'Accademia, come autore
troppo libertino nella lingua e sedizioso; quegli senza di cui ella non avrebbe fatto che acqua da
occhi, a detto di non so chi
(
t)
. Divennero sempre più rigorose le regole della grammatica secondo
che più assoluto si fece il governo. E l'Accademia, con esse alla mano, forma anche a' nostri il
processo a' più chiari scrittori del secolo di Luigi XIV, rimettendo su la scuola di quegli antichi
maestri i quali tassavano Cicerone non aver saputo il latino.
Un Inglese ebbe a dire, in proposito delle regole troppo severe della poetica francese, che le
Muse della Senna simili ad augelli a' quali sieno state tagliate l'ali, possono bensì andare
svolazzando qua e là, ma non han forza di levarsi in alto e di prendere un nobil volo
(
u)
. Con assai più
di ragione parmi che si possa dire, in proposito delle regole troppo severe della loro grammatica e
degli strettissimi confini che sono stati posti alla lingua, che gl'ingegni francesi sono simili a quegli
eccellenti capitani che non possono fare la guerra a dovere e come portano le ragioni della scienza
militare, perché troppo imbrogliati dalle restrizioni del Gabinetto. Troppo picciolo infatti è il campo
che è loro rimaso; ed essi sono tuttora ridotti piuttosto che a fare un bel colpo, a cercar di sortire con
onore di un qualche mal passo e di una qualche difficoltà
(
v)
.
Tale amara doglianza uscì dalla penna del celebre Fenelono, il quale dietro alle nobili tracce
dell'Odissea prese a dipingere le avventure del figliolo di Ulisse. Non solo si accorse quel grande
ingegno dei difetti della propria lingua, come nel maneggiarla aveano fatto tanti altri; ma cercò
ancora di adempiergli nel miglior modo che fosse possibile e trovar loro largamente compenso. Con
una ragionatissima sua scrittura si fece egli innanzi all'Accademia di Francia. In essa espone la mala
condizione, la povertà di una favella, che è parlata, dic'egli, da una nazione sortita appena dalla
barbarie. Mostra come volendola migliorare s'era peggiorata, come i rimedi che sino allora erano
stati messi in opera, non altro aveano fatto che accrescere il male; eccessiva di troppo essere stata la
stitichezza di coloro che seduto aveano i primi in quel tribunale tanto agli scrittori nemico; esser ben
giusto che della passata severità si rimettesse alquanto, conosciuto il disordine che ne era venuto;
doversi al contrario usare di quella libertà di cui avea abusato Ronsardo; da ogni parte doversi
accattare e trascegliere voci, espressioni, e maniere; faren, secondo il bisogno, provvisione e massa;
talmente che si venisse a rimpastare e a riconiare, per dir così, la lingua francese; ed ella potesse, e
per l'armonia, e per la ricchezza de' vocabili, e per la composizion delle parole, e per certa
(
s)
"Je le trouve [le language françois] suffisamment abondant, mais non pas maniant et vigoureux suffisamment: il
succombe souvent à une puissante conception" etc. Essays, Liv. III, chap. V.
(
t)
"Sans les Essays de Montaigne l'Académie ne fera que de l'eau claire".
(
u)
Vedi Préface sur les Tragédies-Opéras par Mylord Lansdown, [in] Idée de la poésie angloise, par M. l'abbé Yart, t.
VII.
(
v)
"La sévérité de notre langue contre presque toutes les inversions des phrases augmente encore infiniment la difficulté
de faire des vers françois. On s'est mis à pure perte dans une espèce de torture pour faire un ouvrage. Nous serions
tentez de croire, qu'on a cherché le difficile, plutôt que le beau. Chez nous un poëte a tant besoin de penser à
l'arrangement d'une syllabe, qu'aux plus grandis sentiments, qu'au plus vives peintures, qu'au traits les plus hardis. Au
contraire les anciens facilitoient par des inversions fréquentes les belles cadences, la variété et les expressions
passionnées. Les inversions se tournoient en grande figure, et tenoient l'esprit suspendu dans l'attente du merveilleux".
Lettre à l'Acad. Franç, art. V
franchezza, varietà e venustà nei modi del dire aver corso con le antiche e con le più belle tra le
moderne. sarebbe da temere, egli aggiunge, non a felice fine avesse da riuscir la cosa, quando la
scelta delle nuove voci e delle espressioni che mancano, fosse fatta in modo che venissero non a
sformare, ma a nutrire e ad abbellire la lingua. Se le più colte persone incominciassero ad usarle
sobriamente, gli altri le ripeterebbono per vaghezza di novità; ed eccole alla moda: in quella guisa
che un nuovo sentiero che si apra in un campo, diviene in picciol tempo la strada battuta esso,
quando al vecchia strada si trovi più malagevole e più lunga
(
z)
.
Se una tale sensatissima riforma potesse aver luogo o no in un linguaggio già fatto e a cui
tanti libri hanno come posto il suggello, è assai malagevole cosa il decidere, quantunque l'autorità
d'un uomo quale è il Fenelono, debba far credere che sì. Ma questo ben si può dire francamente, che
ogni buon francese avria dovuto desiderare che avesse luogo. Un più bel campo si sarebbe aperto a'
loro scrittori, non più avrebbono dovuto stillarsi il cervello per la ristrettezza delle parole, e la loro
lingua non avrebbe ceduto per la abbondanza e maneggevolezza alla italiana, non per la maestà alla
spagnuola, alla inglese per la energia. Più armoniosa e più varia, capace di atteggiarsi a seconda
dei movimenti dell'animo, musicale e pittoresca, sarebbe meno sorda a rispondere all'ingegno de'
Francesi, e suonerebbe più grata all'orecchio de' forestieri.
(
z)
"Mais il faut se ressouvenir, que nous sortons à peine d'une barbarie aussi ancienne que
notre nation.
. . . sed in longum tamen aevum
manserunt, hodieque manent vestigia ruris.
Serus enim Graecis admovit acumina chartis etc.
Horat., Ep. I, Lib. II.
. . . Mais le vieux langage se fait regretter, quand nous le retrouvons dans Marot, dans Amiot, dans le
cardinal d'Ossat, dans les ouvrages les plus enjouez et dans les plus sérieux. Il avoit je ne sçai quoi de court, de naïf, de
hardi, de vif e de passionné . . . Un terme nous manque, nous en sentons le besoin. Choisissez un son doux et éloigné de
toute équivoque, qui s'accommode à notre langue, et qui soit commode pour abréger le discours. Chacun en sent d'abord
la commodité. Quatre ou cinq personnes le hazardent modestement en conversation familière; d'autres le répètent par le
goût de la nouveauté; le voilà à la mode. C'est ainsi qu'un sentier, qu'on ouvre dans un champ, devient bien-tôt le chemin
le plus battu, quand l'ancien chemin se trouve raboteaux et moins court.
Il nous faudroit, outre les mots simples et nouveaux des composez et des phrases, l'art de joindre les
termes qu'on n'a pas coûtume de mettre ensemble, fit une nouveauté gracieuse.
Dixeris egregie, notum si callida verbum
reddiderit iunctura novum . . .
Horat., Art. poet.
. . . Prenons de tout côtez ce qu'il nous faut, pour rendre notre langue plus claire plus précise, plus courte et plus
harmonieuse." etc. Fénelon, Lettre à l'Acad. Franç, art. III.
Livros Grátis
( http://www.livrosgratis.com.br )
Milhares de Livros para Download:
Baixar livros de Administração
Baixar livros de Agronomia
Baixar livros de Arquitetura
Baixar livros de Artes
Baixar livros de Astronomia
Baixar livros de Biologia Geral
Baixar livros de Ciência da Computação
Baixar livros de Ciência da Informação
Baixar livros de Ciência Política
Baixar livros de Ciências da Saúde
Baixar livros de Comunicação
Baixar livros do Conselho Nacional de Educação - CNE
Baixar livros de Defesa civil
Baixar livros de Direito
Baixar livros de Direitos humanos
Baixar livros de Economia
Baixar livros de Economia Doméstica
Baixar livros de Educação
Baixar livros de Educação - Trânsito
Baixar livros de Educação Física
Baixar livros de Engenharia Aeroespacial
Baixar livros de Farmácia
Baixar livros de Filosofia
Baixar livros de Física
Baixar livros de Geociências
Baixar livros de Geografia
Baixar livros de História
Baixar livros de Línguas
Baixar livros de Literatura
Baixar livros de Literatura de Cordel
Baixar livros de Literatura Infantil
Baixar livros de Matemática
Baixar livros de Medicina
Baixar livros de Medicina Veterinária
Baixar livros de Meio Ambiente
Baixar livros de Meteorologia
Baixar Monografias e TCC
Baixar livros Multidisciplinar
Baixar livros de Música
Baixar livros de Psicologia
Baixar livros de Química
Baixar livros de Saúde Coletiva
Baixar livros de Serviço Social
Baixar livros de Sociologia
Baixar livros de Teologia
Baixar livros de Trabalho
Baixar livros de Turismo