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TITOLO: La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene
AUTORE: Artusi, Pellegrino
TRADUZIONE E NOTE:
NOTE:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
TRATTO DA: La scienza in cucina,
di Pellegrino Artusi.
Einaudi Editore,
Ristampa XI,
Anno 1994.
CODICE ISBN: 9 788806 294137
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 15 giugno 1999
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Andrea Zecchi, [email protected]
REVISIONE:
Edda Valsecchi, [email protected]
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La scienza in cucina e
L’ARTE DI
MANGIAR BENE
Manuale pratico per le famiglie
compilato da
PELLEGRINO ARTUSI
(790 ricette)
e in appendice
“La cucina per gli stomachi deboli”
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LA STORIA DI UN LIBRO
CHE RASSOMIGLIA ALLA STORIA DELLA CENERENTOLA
Vedi giudizio uman come spesso erra
Avevo data l’ultima mano al mio libro La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, quando
capitò in Firenze il mio dotto amico Francesco Trevisan, professore di belle lettere al liceo Scipione
Maffei di Verona. Appassionato cultore degli studi foscoliani, fu egli eletto a far parte del Comitato
per erigere un monumento in Santa Croce al Cantor dei Sepolcri. In quella occasione avendo avuto
il piacere di ospitarlo in casa mia, mi parve opportuno chiedergli il suo savio parere intorno a quel
mio culinario lavoro; ma ohimé! che, dopo averlo esaminato, alle mie povere fatiche di tanti anni
pronunziò la brutta sentenza: Questo è un libro che avrà poco esito.
Sgomento, ma non del tutto convinto della sua opinione, mi pungeva il desiderio di
appellarmi al giudizio del pubblico; quindi pensai di rivolgermi per la stampa a una ben nota casa
editrice di Firenze, nella speranza che, essendo coi proprietari in relazione quasi d’amicizia per
avere anni addietro spesovi una somma rilevante per diverse mie pubblicazioni, avrei trovato in loro
una qualche condiscendenza. Anzi, per dar loro coraggio, proposi a questi Signori di far
l’operazione in conto sociale e perché fosse fatta a ragion veduta, dopo aver loro mostrato il
manoscritto, volli che avessero un saggio pratico della mia cucina invitandoli un giorno a pranzo, il
quale parve soddisfacente tanto ad essi quanto agli altri commensali invitati a tener loro buona
compagnia.
Lusinghe vane, perocché dopo averci pensato sopra e tentennato parecchio, uno di essi ebbe a
dirmi: - Se il suo lavoro l’avesse fatto Doney, allora solo se ne potrebbe parlar sul serio. - Se
l’avesse compilato Doney - io gli risposi - probabilmente nessuno capirebbe nulla come avviene del
grosso volume Il re de’ cuochi; mentre con questo Manuale pratico basta si sappia tenere un
mestolo in mano, che qualche cosa si annaspa.
Qui è bene a sapersi che gli editori generalmente non si curano più che tanto se un libro è
buono o cattivo, utile o dannoso; per essi basta, onde poterlo smerciar facilmente, che porti in fronte
un nome celebre o conosciutissimo, perché questo serva a dargli la spinta e sotto le ali del suo
patrocinio possa far grandi voli.
Da capo dunque in cerca di un più facile intraprenditore, e conoscendo per fama un'altra
importante casa editrice di Milano, mi rivolsi ad essa, perché pubblicando d'omnia generis
musicorum, pensavo che in quella farragine potesse trovare un posticino il mio modesto lavoro. Fu
per me molto umiliante questa risposta asciutta asciutta: - Di libri di cucina non ci occupiamo.
- Finiamola una buona volta - dissi allora fra me - di mendicare l'aiuto altrui e si pubblichi a
tutto mio rischio e pericolo; - e infatti ne affidai la stampa al tipografo Salvadore Landi; ma mentre
ne trattavo le condizioni mi venne l'idea di farlo offrire ad un altro editore in grande, più idoneo per
simili pubblicazioni. A dire il vero trovai lui più propenso di tutti; ma, ohimé (di nuovo) a quali
patti! L.200 prezzo dell'opera e la cessione dei diritti d'autore. Ciò, e la riluttanza degli altri, provi in
quale discredito erano caduti i libri di cucina in Italia!
A umiliante proposta uscii in una escandescenza, che non occorre ripetere, e mi avventurai
a tutte mie spese e rischio; ma scoraggiato come ero, nella prevenzione di fare un fiasco solenne, ne
feci tirare mille copie soltanto.
Accadde poco dopo che a Forlimpopoli, mio paese nativo, erasi indetta una gran fiera di
beneficenza e un amico mi scrisse di contribuirvi con due esemplari della vita del Foscolo; ma
questa essendo allora presso di me esaurita, supplii con due copie della Scienza in cucina e l' Arte di
mangiar bene. Non l'avessi mai fatto, poiché mi fu riferito che quelli che le vinsero invece di
apprezzarle le misero alla berlina e le andarono a vendere al tabaccaio.
Ma anche questa fu l'ultima delle mortificazioni subite, perocché avendone mandata una
copia a una Rivista di Roma, a cui ero associato, non che dire due parole sul merito del lavoro e
fargli un poco di critica, come prometteva un avviso dello stesso giornale pei libri mandati in dono,
lo notò soltanto nella rubrica di quelli ricevuti, sbagliandone perfino il titolo.
Finalmente dopo tante bastonature, sorse spontaneamente un uomo di genio a perorar la mia
causa. Il professor Paolo Mantegazza, con quell’intuito pronto e sicuro che lo distingueva, conobbe
subito che quel mio lavoro qualche merito lo aveva, potendo esser utile alle famiglie; e,
rallegrandosi meco, disse: - Col darci questo libro voi avete fatto un’opera buona e perciò vi auguro
cento edizioni.
- Troppe, troppe! - risposi - sarei contento di due. - Poi con molta mia meraviglia e sorpresa,
che mi confusero, lo elogiò e lo raccomandò all’uditorio in due delle sue conferenze.
Cominciai allora a prender coraggio e vedendo che il libro propendeva ad aver esito, benché
lento da prima, scrissi all’ amico di Forlimpopoli, lagnandomi dell’offesa fatta ad un libro che forse
un giorno avrebbe recato onore al loro paese; la stizza non mi fece dir mio.
Esitata la prima edizione, sempre con titubanza, perché ancora non ci credevo, misi mano alla
seconda, anche questa di soli mille esemplari; la quale avendo avuto smercio più sollecito
dell’antecedente, mi diè coraggio d’intraprender la terza di copie duemila e poi la quarta e quinta di
tremila ciascuna. A queste seguono, a intervalli relativamente brevi, sei altre edizioni di quattromila
ciascuna e finalmente, vedendo che questo manuale, quanto più invecchiava più acquistava favore e
la richiesta si faceva sempre più viva, mi decisi a portare a seimila, a diecimila, poi a quindicimila,
il numero delle copie di ciascuna delle successive edizioni. Con questa trentacinquesima edizione si
è giunti in tutto al numero di 283.000 copie date alla luce finora, e quasi sempre con l’aggiunta di
nuove ricette (perché quest’arte è inesauribile); la qual cosa mi è di grande conforto specialmente
vedendo che il libro è comprato anche da gente autorevole e da professori di vaglia.
Punzecchiato nell’amor proprio da questo risultato felice, mi premeva rendermi grato al
pubblico con edizioni sempre più eleganti e corrette e sembrandomi di non vedere in chi presiedeva
alla stampa tutto l’impegno per riuscirvi, gli dissi un giorno in tono di scherzo: - Dunque anche lei,
perché questo mio lavoro sa di stufato, sdegna forse di prenderlo in considerazione? Sappia però, e
lo dico a malincuore, che con le tendenze del secolo al materialismo e ai godimenti della vita, verrà
giorno, e non è lontano, che saranno maggiormente ricercati e letti gli scritti di questa specie; cioè di
quelli che recano diletto alla mente e danno pascolo al corpo, a preferenza delle opere, molto più
utili all'umanità, dei grandi scienziati.
Cieco chi non lo vede! Stanno per finire i tempi delle seducenti e lusinghiere ideali illusioni e
degli anacoreti; il mondo corre assetato, anche più che non dovrebbe, alle vive fonti del piacere, e
però chi potesse e sapesse temperare queste pericolose tendenze con una sana morale avrebbe vinto
la palma.
Pongo fine a questa mia cicalata non senza tributare un elogio e un ringraziamento ben
meritati alla Casa Editrice Bemporad di Firenze, la quale si è data ogni cura di far conoscere questo
mio Manuale al pubblico e di divulgarlo.
PREFAZIO
La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma anche piacere, perché
quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate
vittoria.
Diffidate dei libri che trattano di quest'arte: Sono la maggior parte fallaci o incomprensibili,
specialmente quelli italiani; meno peggio i francesi: al più al più, tanto dagli uni che dagli altri
potrete attingere qualche nozione utile quando l’arte la conoscete.
Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non credo sia necessario per
riuscire, di nascere con una cazzaruola in capo basta la passione, molta attenzione e l'avvezzarsi
precisi: poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, che questa vi farà figurare.
Il miglior maestro è la pratica sotto un esercente capace; ma anche senza di esso, con una
scorta simile a questa mia, mettendovi con molto impegno al lavoro, potrete, io spero, annaspar
qualche cosa.
Vinto dalle insistenze di molti miei conoscenti e di signore, che mi onorano della loro
amicizia, mi decisi finalmente di pubblicare il presente volume, la cui materia, già preparata da
lungo tempo, serviva per solo mio uso e consumo. Ve l'offro dunque da semplice dilettante qual
sono, sicuro di non ingannarvi, avendo provati e riprovati più volte questi piatti da me medesimo; se
poi voi non vi riuscirete alla prima, non vi sgomentate; buona volontà ed insistenza vuol essere, e vi
garantisco che giungerete a farli bene e potrete anche migliorarli, imperocché io non presumo di
aver toccato l'apice della perfezione.
Ma, vedendo che si è giunti con questa alla trentacinquesima edizione e alla tiratura di
duecentottantatremila esemplari, mi giova credere che nella generalità a queste mie pietanze venga
fatto buon viso e che pochi, per mia fortuna, mi abbiano mandato finora in quel paese per imbarazzo
di stomaco o per altri fenomeni che la decenza mi vieta di nominare.
Non vorrei però che per essermi occupato di culinaria mi gabellaste per un ghiottone o per un
gran pappatore; protesto, se mai, contro questa taccia poco onorevole, perché non sono l'una
l'altra cosa. Amo il bello ed il buono ovunque si trovino e mi ripugna di vedere straziata, come suol
dirsi, la grazia di Dio. Amen.
L’AUTORE A CHI LEGGE
Due sono le funzioni principali della vita: la nutrizione e la propagazione della specie; a
coloro quindi che, rivolgendo la mente a questi due bisogni dell'esistenza, li studiano e suggeriscono
norme onde vengano sodisfatti nel miglior modo possibile, per render meno triste la vita stessa, e
per giovare all'umanità, sia lecito sperare che questa, pur se non apprezza le loro fatiche, sia almeno
prodiga di un benigno compatimento.
Il senso racchiuso in queste poche righe, premesse alla terza edizione, essendo stato svolto
con più competenza in una lettera familiare a me diretta dal chiarissimo poeta Lorenzo Stecchetti,
mi procuro il piacere di trascrivervi le sue parole.
Il genere umano - egli dice - dura solo perché l'uomo ha l'istinto
della conservazione e quello della riproduzione e sente vivissimo il
bisogno di sodisfarvi. Alla sodisfazione di un bisogno va sempre unito un
piacere e il piacere della conservazione si ha nel senso del gusto e quello
della riproduzione nel senso del tatto. Se l'uomo non appetisse il cibo o
non provasse stimoli sessuali, il genere umano finirebbe subito.
Il gusto e il tatto sono quindi i sensi più necessari, anzi
indispensabili alla vita dell'individuo e della specie. Gli altri aiutano
soltanto e si può vivere ciechi e sordi, ma non senza l'attività funzionale
degli organi del gusto.
Come è dunque che nella scala dei sensi i due più necessari alla vita
ed alla sua trasmissione sono reputati più vili? Perché quel che sodisfa gli
altri sensi, pittura, musica, ecc., si dice arte, si ritiene cosa nobile, ed
ignobile invece quel che sodisfa il gusto? Perché chi gode vedendo un bel
quadro o sentendo una bella sinfonia è reputato superiore a chi gode
mangiando un'eccellente vivanda? Ci sono dunque tali ineguaglianze
anche tra i sensi che chi lavora ha una camicia e chi non lavora ne ha
due?
Deve essere pel tirannico regno che il cervello esercita ora su tutti
gli organi del corpo. Al tempo di Menenio Agrippa dominava lo stomaco,
ora non serve nemmeno più, o almeno serve male. Tra questi eccessivi
lavoratori di cervello ce n'è uno che digerisca bene? Tutto è nervi,
nevrosi, nevrastenia, e la statura, la circonferenza toracica, la forza di
resistenza e di riproduzione calano ogni giorno in questa razza di saggi e
di artisti pieni d'ingegno e di rachitide, di delicatezze e di glandule, che
non si nutre, ma si eccita e si regge a forza di caffè, di alcool e di
morfina. Perciò i sensi che si dirigono alla cerebrazione sono stimati più
nobili di quelli che presiedono alla conservazione, e sarebbe ora di
cassare questa ingiusta sentenza.
O santa bicicletta che ci fa provare la gioia di un robusto appetito a
dispetto dei decadenti e dei decaduti, sognanti la clorosi, la tabe e i
gavoccioli dell'arte ideale! All'aria, all'aria libera e sana, a far rosso il
sangue e forti i muscoli! Non vergogniamoci dunque di mangiare il
meglio che si può e ridiamo il suo posto anche alla gastronomia. Infine
anche il tiranno cervello ci guadagnerà, e questa società malata di nervi
finirà per capire che, anche in arte, una discussione sul cucinare
l'anguilla, vale una dissertazione sul sorriso di Beatrice.
Non si vive di solo pane, è vero; ci vuole anche il companatico; e
l'arte di renderlo più economico, più sapido, più sano, lo dico e lo
sostengo, è vera arte. Riabilitiamo il senso del gusto e non vergogniamoci
di sodisfarlo onestamente, ma il meglio che si può, come ella ce ne i
precetti.
ALCUNE NORME D’IGIENE
Tiberio imperatore diceva che l'uomo, giunto all'età di trentacinque anni, non dovrebbe avere
più bisogno di medico. Se questo aforismo, preso in senso largo è vero, non è men vero che il
medico, chiamato a tempo, può troncare sul bel principio una malattia ed anche salvarvi da
immatura morte; il medico poi se non guarisce, solleva spesso, consola sempre.
La massima dell'imperatore Tiberio è vera in quanto che l'uomo arrivato a metà del corso della
vita dovrebbe avere acquistata tanta esperienza sopra stesso da conoscere ciò che gli nuoce e ciò
che gli giova e con un buon regime dietetico governarsi in modo da tenere in bilico la salute, la qual
cosa non è difficile se questa non è minacciata da vizii organici o da qualche viscerale lesione. Oltre
a ciò dovrebbe l'uomo, giunto a quell'età, essersi persuaso che la cura profilattica, ossia preventiva,
è la migliore, che ben poco evvi a sperare dalle medicine e che il medico più abile è colui che ordina
poco e cose semplici.
Le persone nervose e troppo sensibili, specialmente se disoccupate ed apprensive, si figurano
di aver mille mali che hanno sede solo nella loro immaginazione. Una di queste, parlando di
stessa, diceva un giorno al suo medico: “Io non capisco come possa campare un uomo con tanti
malanni addosso”. Eppure non solo è campata con qualche incomoduccio comune a tanti altri; ma
essa ha raggiunto una tarda età.
Questi infelici ipocondriaci, che altro non sono, meritano tutto il nostro compatimento
imperocché non sanno svincolarsi dalle pastoie in cui li tiene una esagerata e continua paura, e non
c'è modo a persuaderli, ritenendosi ingannati dallo zelo di coloro che cercano di confortarli. Spesso
li vedrete coll'occhio torvo e col polso in mano gettar sospiri, guardarsi con ribrezzo allo specchio
ed osservare la lingua; la notte di soprassalto balzar dal letto, spaventati per palpitar del cuore in
sussulto. Il vitto per essi è una pena, non solo per la scelta de' cibi; ma ora temendo di aver mangiato
troppo, stanno in apprensione di qualche accidente, ora volendo correggersi con astinenza eccessiva
hanno insonnia la notte e sogni molesti. Col pensiero sempre a stessi pel timore di prendere un
raffreddore o un mal di petto, escono ravvolti in modo che sembrano fegatelli nella rete, e ad ogni
po' d'impressione fredda che sentono soprammettono involucri sopra involucri da disgradarne, sto
per dir, le cipolle. Per questi tali non c'è medicina che valga e un medico coscienzioso dirà loro:
divagatevi, distraetevi, passeggiate spesso all'aria aperta per quanto le vostre forze il comportano,
viaggiate, se avete quattrini, in buona compagnia e guarirete. S'intende bene che io in questo scritto
parlo alle classi agiate, ché i diseredati dalla fortuna sono costretti, loro malgrado, a fare di necessità
virtù e consolarsi riflettendo che la vita attiva e frugale contribuisce alla robustezza dei corpo e alla
conservazione della salute. Da questi preliminari passando alla generalità di una buona igiene,
permettetemi vi rammenti alcuni precetti che godono da lungo tempo la sanzione scientifica, ma che
non sono ripetuti mai abbastanza; e per primo, parlandovi del vestiario, mi rivolgo alle signore
mamme e dico ad esse: cominciate a vestir leggieri, fino dall'infanzia, i vostri bambini, che poi fatti
adulti con questo metodo risentiranno meno le brusche variazioni dell'atmosfera e andranno meno
soggetti alle infreddature, alle bronchiti. Se poi, durante l'inverno, non eleverete ne' vostri
appartamenti il calore delle stufe oltre ai 12 o 14 gradi, vi salverete probabilmente dalle polmoniti
che sono così frequenti oggigiorno.
Alle prime frescure non vi aggravate, a un tratto, di troppi panni, basta un indumento esterno e
precario per poterlo deporre e riprendere a piacere nel frequente alternarsi della stagione fino a che
non saremo entrati nel freddo costante. Quando poi vi avvicinate alla primavera rammentatevi allora
del seguente proverbio che io trovo di una verità indiscutibile:
Di aprile non ti alleggerire,
Di maggio va' adagio,
Di giugno getta via lo cotticugno,
Ma non lo impegnare
Ché potrebbe abbisognare.
Cercate di abitar case sane con molta luce e ventilate: dov’entra il sole fuggono le malattie.
Compassionate quelle signore che ricevono quasi all'oscuro, che quando andate a visitarle
inciampate nei mobili e non sapete dove posare il cappello. Per questo loro costume di vivere quasi
sempre nella penombra, di non far moto a piedi e all'aria libera ed aperta, e perché tende
naturalmente il loro sesso a ber poco vino e a cibarsi scarsamente di carne, preferendo i vegetali e i
dolciumi, non trovate fra loro le guance rosee, indizio di prospera salute, le belle carnagioni tutto
sangue e latte, non cicce sode, ma floscie e visi come le vecce fatte nascere al buio per adornare i
sepolcri il giovedì santo. Qual maraviglia allora di veder fra le donne tante isteriche, nevrotiche ed
anemiche?
Avvezzatevi a mangiare d'ogni cosa se non volete divenire incresciosi alla famiglia. Chi fa
delle esclusioni parecchie offende gli altri e il capo di casa, costretti a seguirlo per non raddoppiar le
pietanze. Non vi fate schiavi del vostro stomaco: questo viscere capriccioso, che si sdegna per poco,
pare si diletti di tormentare specialmente coloro che mangiano più del bisogno, vizio comune di chi
non è costretto dalla necessita al vitto frugale. A dargli retta, ora con le sue nausee ora col
rimandarvi alla gola il sapore de' cibi ricevuti ed ora con moleste acidità, vi ridurrebbe al regime de'
convalescenti. In questi casi, se non avete nulla a rimproverarvi per istravizio, muovetegli guerra;
combattetelo corpo a corpo per vedere di vincerlo; ma se poi assolutamente la natura si ribella ad un
dato alimento, allora solo concedetegli la vittoria e smettete.
Chi non esercita attività muscolare deve vivere più parco degli altri e a questo proposito
Agnolo Pandolfini nel Trattato del governo della famiglia, dice: “Trovo che molto giova la dieta, la
sobrietà, non mangiare, non bere, se non vi sentite fame o sete. E provo in me questo, per cosa cruda
e dura che sia a digestire, vecchio come io sono, dall'un sole all'altro mi trovo averla digestita.
Figliuoli miei, prendete questa regola brieve, generale e molto perfetta. Ponete cura in conoscere
qual cosa v'è nociva, e da quella vi guardate; e quale vi giova e fa pro quella seguite e continuate”.
Allo svegliarvi la mattina consultate ciò che più si confà al vostro stomaco; se non lo sentite
del tutto libero limitatevi ad una tazza di caffè nero, e se la fate precedere da mezzo bicchier d'acqua
frammista a caffè servirà meglio a sbarazzarvi dai residui di una imperfetta digestione. Se poi vi
trovate in perfetto stato e (avvertendo di non pigliare abbaglio perché c'è anche la falsa fame) sentite
subito bisogno di cibo, indizio certo di buona salute e pronostico di lunga vita, allora viene
opportuno, a seconda del vostro gusto, col caffè nero un crostino imburrato, o il caffè col latte,
oppure la cioccolata. Dopo quattr'ore circa, che tante occorrono per digerire una colazione ancorché
scarsa e liquida, si passa secondo l'uso moderno alla colazione solida delle 11 o del mezzogiorno.
Questo pasto, per essere il primo della giornata, è sempre il più appetitoso, e perciò non
conviene levarsi del tutto la fame, se volete gustare il pranzo e, ammenoché non conduciate vita
attiva e di lavoro muscolare, non è bene il pasteggiar col vino, perché il rosso non è di facile
digestione e il bianco essendo alcoolico, turba la mente se questa deve stare applicata.
Meglio è il pasteggiar la mattina con acqua pura e bere in fine un bicchierino o due di vino da
bottiglia, oppure il far uso di the semplice o col latte che io trovo molto omogeneo; non aggrava lo
stomaco e, come alimento nervoso e caldo aiuta a digerire.
Nel pranzo, che è il pasto principale della giornata e, direi, quasi una festa di famiglia, si può
scialare, ma più durante l'inverno che nell'estate, perché nel caldo si richiedono alimenti leggieri e
facili a digerirsi. Più e diverse qualità di cibi, dei due regni della natura, ove predomini l'elemento
carneo, contribuiscono meglio a una buona digestione specialmente se annaffiati da vino vecchio ed
asciutto; ma guardatevi dalle scorpacciate come pure da quei cibi che sono soliti a sciogliervi il
corpo, e non dilavate lo stomaco col troppo bere. A questo proposito alcuni igienisti consigliano il
pasteggiar coll'acqua anche durante il pranzo, serbando il vino alla fine. Fatelo se ve ne sentite il
coraggio; a me sembra un troppo pretendere.
Se volete una buona regola, nel pranzo arrestatevi al primo boccone che vi fa nausea e
senz'altro passate al dessert. Un'altra buona consuetudine contro le indigestioni e all'esuberanza di
nutrimento è di mangiar leggiero il giorno appresso a quello in cui vi siete nutriti di cibi gravi e
pesanti.
Il gelato non nuoce alla fine del pranzo, anzi giova, perché richiama al ventricolo il calore
opportuno a ben digerire; ma guardatevi sempre, se la sete non ve lo impone, di bere tra un pasto e
l'altro, per non disturbare la digestione, avendo bisogno questo lavoro di alta chimica della natura di
non essere molestato.
Fra la colazione e il pranzo lasciate correre un intervallo di sette ore, che tante occorrono per
una completa digestione, anzi non bastano per quelli che l'hanno lenta, cosicché avendo luogo la
colazione alle undici, meglio è trasportare il pranzo alle sette; ma veramente non si dovrebbe
ritornare al cibo altro che quando lo stomaco chiama con insistenza soccorso, e questo bisogno tanto
più presto si farà imperioso se lo provocate con una passeggiata all'aria libera oppure con qualche
esercizio temperato e piacevole.
“L’esercizio, dice il precitato Agnolo Pandolfini, conserva la vita, accende il caldo e il vigore
naturale, schiuma superchie e cattive materie e umori, fortifica ogni virtù del corpo e de' nervi; è
necessario a' giovani, utile a' vecchi. Colui non faccia esercizio, che non vuole vivere sano e lieto.
Socrate, si legge, in casa ballava e saltava per esercitarsi. La vita modesta, riposata e lieta fu sempre
ottima medicina alla sanità”.
La temperanza e l'esercizio dei corpo sono dunque i due perni su cui la salute si aggira; ma
avvertite che quando eccede, cangiata in vizio la virtù si vede, imperocché le perdite continue
dell'organismo hanno bisogno di riparazione. Dalla pletora per troppo nutrimento guardatevi dal
cadere nell'eccesso opposto di una scarsa e insufficiente alimentazione per non lasciarvi indebolire.
Durante l'adolescenza ossia nel crescere, l'uomo ha bisogno di molto nutrimento; per l'adulto e
specialmente pel vecchio la moderazione nel cibo è indispensabile virtù per prolungare la vita.
A coloro che hanno conservata ancora la beata usanza de' nostri padri di pranzare a
mezzogiorno o al tocco, rammenterò l'antichissimo adagio: Post prandium stabis et post cenam
ambulabis; a tutti poi, che la prima digestione si fa in bocca, quindi non si potrebbe mai abbastanza
raccomandare la conservazione dei denti, per triturare e macinare convenientemente i cibi, che
coll'aiuto della saliva, si digeriscono assai meglio di quelli tritati e pestati in cucina, i quali
richiedono poca masticazione, riescono pesanti allo stomaco, come se questo viscere sentisse
sdegno per avergli tolto parte del suo lavoro; anzi molti cibi riputati indigesti possono riescire
digeribili e gustati meglio mediante una forte masticazione.
Se con la guida di queste norme saprete regolar bene il vostro stomaco, da debole che era il
renderete forte, e se forte di natura, tale il conserverete senza ricorrere ai medicamenti. Rifuggite dai
purganti, che sono una rovina se usati di frequente, e ricorrete ad essi ben di rado e soltanto quando
la necessità il richieda. Molte volte le bestie col loro istinto naturale e fors'anche col raziocinio
insegnano a noi come regolarci: il mio carissimo amico Sibillone, quando prendeva un'indigestione,
stava un giorno o due senza mangiare e l'andava a smaltire sui tetti. Sono quindi da deplorare quelle
pietose mamme che, per un'esagerazione del sentimento materno, tengono gli occhi sempre intenti
alla salute de' loro piccini e ad ogni istante che li vedono un po' mogi o non obbedienti al secesso,
con quella fisima sempre in capo de' bachi, i quali il più sovente non sono che nella loro
immaginazione, non lasciano agir la natura che, in quella età rigogliosa ed esuberante di vita, fa
prodigi lasciata a se stessa; ma ricorrono subito al medicamento, al clistere.
L'uso de' liquori che, a non istare in guardia diventa abuso, è riprovato da tutti gli igienisti pei
guasti irreparabili che cagionano nell'organismo umano. Può fare eccezione soltanto un qualche
leggero poncino di cognac (sia pure con l'odore del rhum) nelle fredde serate d'inverno, perché aiuta
nella notte la digestione e vi trovate la mattina con lo stomaco più libero e la bocca migliore.
Male, male assai poi fanno coloro che si lasciano vincere dal vino. A poco a poco, sentono
nausea al cibo e si nutrono quasi esclusivamente di quello; indi si degradano agli occhi del mondo,
diventando ridicoli, pericolosi e bestiali. C'era un mercante che quando arrivava in una città si
fermava ad una cantonata per osservar la gente che passava e quando vedeva uno col naso rosso era
sollecito a chiedergli dove si vendeva il vino buono. Anche passando sopra al marchio
d'intemperanza che questo vizio imprime spesso sul viso, e a certe scene che destano soltanto un
senso d'ilarità - come quella di un cuoco il quale, mentre i suoi padroni aspettavano a cena, teneva la
padella sopra l'acquaio e furiosamente faceva vento al di sotto - è certo che quando vedete questi
beoni, che cogli occhi imbambolati, mal pronunciando l'erre dicono e fanno sciocchezze spesso
compromettenti, vi sentite serrare il cuore nel timore che non si passi alle risse e dalle risse al
coltello come avviene sovente. Persistendo ancora in questo vizio brutale, che si fa sempre più
imperioso, si diventa ubriaconi incorreggibili; i quali tutti finiscono miseramente.
Neppure sono da lodarsi coloro che cercano di procrastinare l'appetito cogli eccitanti,
imperocché se avvezzate il ventricolo ad aver bisogno di agenti esterni per aiutarlo a digerire
finirete per isnervare la sua vitalità e l'elaborazione de' succhi gastrici diverrà difettosa. Quanto al
sonno e il riposo sono funzioni assolutamente relative da conformarle al bisogno dell'individuo,
poiché tutti non siamo ugualmente conformati, e segue talvolta che uno si senta un malessere
generale e indefinibile senza potersene rendere ragione e questo da altro non deriva che da
mancanza di riposo riparatore.
Chiudo la serie di questi precetti, gettati giù così alla buona e senza pretese, coi seguenti due
proverbi, tolti dalla letteratura straniera, non senza augurare al lettore felicità e lunga vita.
PROVERBIO INGLESE
Early to bed and early to rise
Makes a man healthy, wealthy and wise
Coricarsi presto ed alzarsi presto
Fanno l'uomo sano, ricco e saggio.
PROVERBIO FRANCESE
Se lever à six, déjeuner a dix
Diner à six, se coucher à dix,
Fait vivre l’homme dix fois dix.
Alzarsi alle sei, far colazione alle dieci,
Pranzare alle sei, coricarsi alle dieci
Fa viver l'uomo dieci volte dieci.
X
Lettera del poeta Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini) a cui mandai in dono una copia del mio
libro di cucina, terza edizione:
On. Signor mio,
Ella non può immaginare che gradita sorpresa mi abbia fatto il suo
volume, dove si compiacque di ricordarmi! Io sono stato e sono uno degli
apostoli più ferventi ed antichi dell'opera sua che ho trovato la migliore, la
più pratica, e la più bella, non dico di tutte le italiane che sono vere
birbonate, ma anche delle straniere. Ricorda ella il Vialardi che fa testo in
Piemonte?
“GILLÒ ABBRAGIATO. - La volaglia spennata si abbrustia, non si
sboglienta, ma la longia di bue piccata di trifola cesellata e di giambone, si
ruola a forma di valigia in una braciera con butirro. Umiditela soventemente
con grassa e sgorgate e imbianchite due animelle e fatene una farcia da
chenelle grosse un turacciolo, da bordare la longia. Cotta che sia, giusta di
sale, verniciatela con salsa di tomatiche ridotta spessa da velare e fate per
guarnitura una macedonia di mellonetti e zuccotti e servite in terrina ben
caldo”.
Non è nel libro, ma i termini ci sono tutti.
Quanto agli altri Re dei Cuochi, Regina delle Cuoche ed altre maestà
culinarie, non abbiamo che traduzioni dal francese o compilazioni
sgangherate. Per trovare una ricetta pratica e adatta per una famiglia bisogna
andare a tentone, indovinare, sbagliare. Quindi benedetto l’Artusi! È un coro
questo, un coro che le viene di Romagna, dove ho predicato con vero
entusiasmo il suo volume. Da ogni parte me ne vennero elogi. Un mio caro
parente mi scriveva: “Finalmente abbiamo un libro di cucina e non di
cannibalismo, perché tutti gli altri dicono: prendete il vostro fegato,
tagliatelo a fette, ecc.” e mi ringraziava.
Avevo anch’io l’idea di fare un libro di cucina da mettere nei manuali
dell’Hoepli. Avrei voluto fare un libro, come si dice di volgarizzazione; ma
un poco il tempo mi mancò, un poco ragioni di bilancio mi rendevano
difficile la parte sperimentale e finalmente venne il suo libro che mi
scoraggiò affatto. L’idea mi passò, ma mi è rimasta una discreta collezione
di libri di cucina che fa bella mostra di in uno scaffale della sala da
pranzo. La prima edizione del suo libro, rilegata, interfogliata ed arricchita
(?) di parecchie ricette, vi ha il posto d’onore. La seconda serve alla
consultazione quotidiana e la terza ruberà ora il posto d’onore alla prima
perché superba dell’autografo dell’Autore.
Così, come Ella vede, da un pezzo conosco, stimo e consiglio l’opera
sua ed Ella intenda perciò con che vivissimo piacere abbia accolto
l’esemplare cortesemente inviatomi. Prima il mio stomaco solo provava una
doverosa riconoscenza verso di Lei; ora allo stomaco si aggiunge l’animo. È
perciò, Egregio Signore, che rendendole vivissime grazie del dono e della
cortesia, mi onoro di rassegnarmi colla dovuta gratitudine e stima.
Bologna, 19-XII-96
Suo Dev.mo
Olindo Guerrini
X
La contessa Maria Fantoni, ora vedova dell’illustre professor Paolo Mantegazza, mi fece la
inaspettata sorpresa di onorarmi dell’infrascritta lettera, la quale serbo in conto di gradito premio
alle mie povere fatiche.
San Terenzo (Golfo della Spezia)
14 novembre ’97
Gentil.mo Signor Artusi,
Mi scusi la sfacciataggine, ma sento proprio il bisogno di dirle, quanto
il suo libro mi sia utile e caro; sì, caro, perché nemmeno uno dei piatti che
ho fatto mi è riuscito poco bene, e anzi taluni così perfetti da riceverne elogi,
e siccome il merito è suo, voglio dirglielo per ringraziarlo sinceramente.
Ho fatto una sua gelatina di cotogne che anderà in America; l'ho
mandata a mio figliastro a Buenos Ayres e sono sicura che sarà apprezzata al
suo giusto valore. E poi lei scrive e descrive così chiaramente che il mettere
in esecuzione le sue ricette è un vero piacere e io ne provo soddisfazione.
Tutto questo volevo dirle e per questo mi sono permessa indirizzarle
questa lettera.
Mio marito vuole esserle rammentato con affetto.
Ed io le stringo la mano riconoscentissima.
Maria Mantegazza
X
Le commedie della cucina, ossia la disperazione dei poveri cuochi, quando i loro padroni
invitano gli amici a pranzo (scena tolta dal vero, soltanto i nomi cambiati):
Dice il padrone al suo cuoco:
- Bada Francesco che la signora Carli non mangia pesce, fresco
salato, e non tollera neanche l'odore de' suoi derivati. Lo sai già che il
marchese Gandi sente disgusto all'odore della vainiglia. Guardati bene dalla
noce moscata e dalle spezie, perché l'avvocato Cesari questi aromi li detesta.
Nei dolci che farai avverti di escludere le mandorle amare, ché non li
mangerebbe Donna Matilde d'Alcantara. Già sai che il mio buon amico
Moscardi non fa mai uso nella sua cucina di prosciutto, lardo, carnesecca e
lardone, perché questi condimenti gli promuovono le flatulenze; dunque non
ne usare in questo pranzo onde non si dovesse ammalare.
Francesco, che sta ad ascoltare il padrone a bocca aperta, finalmente
esclama:
- Ne ha più delle esclusioni da fare, sior padrone?
- A dirti il vero, io che conosco il gusto de' miei invitati, ne avrei
qualche altra su cui metterti in guardia. So che qualcuno di loro fa eccezione
alla carne di castrato e dice che sa di sego, altri che l'agnello non è di facile
digestione; diversi poi mi asserirono, accademicamente parlando, che
quando mangiano cavolo o patate sono presi da timpanite, cioè portano il
corpo gonfio tutta la notte e fanno sognacci; ma per questi tiriamo via,
passiamoci sopra.
- Allora ho capito - soggiunge il cuoco, e partendo borbotta tra sé: -
Per contentare tutti questi signori e scongiurare la timpanite, mi recherò alla
residenza di Marco (il ciuco di casa) a chiedergli, per grazia, il suo savio
parere e un vassoio de' suoi prodotti, senza il relativo condimento!
SPIEGAZIONE DI VOCI CHE ESSENDO DEL VOLGARE TOSCANO
NON TUTTI INTENDEREBBERO
Bianchire. Vedi imbiancare.
Bietola. Erba comune per uso di cucina, a foglie grandi lanceolate, conosciuta in alcuni luoghi col
nome di erbe o erbette.
Caldana. Quella stanzetta sopra la volta del forno, dove i fornai mettono a lievitare il pane.
Carnesecca. Pancetta del maiale salata.
Cipolla. Parlando di polli, vale ventriglio.
Costoletta. Braciuola colla costola, di vitella di latte, di agnello, di castrato e simili.
Cotoletta. Parola francese di uso comune per indicare un pezzo di carne magra, ordinariamente di
vitella di latte, non più grande della palma di una mano, battuta e stiacciata, panata e dorata.
Crema pasticcera. Crema con la farina onde riesca meno liquida.
Fagiuoli sgranati. Fagiuoli quasi giunti a maturazione e levati freschi dal baccello.
Farina d'Ungheria. È farina di grano finissima che trovasi in commercio nelle grandi città.
Filetto. Muscolo carnoso e tenero che resta sotto la groppa dei quadrupedi; ma per estensione, dicesi
anche della polpa dei pesci e dei volatili.
Frattagliaio. Venditore di frattaglie,
Frattaglie. Tutte le interiora e le cose minute dell'animale macellato.
Fumetto. Liquore cori estratto di anaci chiamato mistrò in alcune provincie d'Italia.
Imbiancare. Lessare a metà.
Lardatoio. Arnese di cucina per lo più di ottone in forma di grosso punteruolo per steccare la carne
con lardone o prosciutto.
Lardo. Strutto di maiale che serve a vari usi, ma più che altro per friggere. (A Napoli nzogna).
Lardone. Falda grassa e salata della schiena del maiale.
Lardo vergine. Lardo non ancora adoperato.
Lunetta o mezzaluna. Arnese di ferro tagliente dalla parte esteriore ad uso di cucina per tritare carne,
erbe o simili, fatto a foggia di mezza luna, con manichi di legno alle due estremità.
Matterello. Legno lungo circa un metro e ben rotondo, col quale si spiana e si assottiglia la pasta per
far tagliatelle od altro.
Mestolo. Specie di cucchiaio di legno, pochissimo incavato e di lungo manico, che serve a rimestar
le vivande nei vasi da cucina.
Odori o mazzetto guarnito. Erbaggi odorosi, come carota, sedano, prezzemolo, basilico, ecc. Il
mazzetto si lega con un filo.
Panare. Involgere pezzetti di carne, come sarebbero le cotolette od altro, nel pangrattato prima di
cuocerli.
Pasto. Polmone dei quadrupedi.
Pietra. Rognone, arnione.
Sauté. Così chiamasi con nome francese quel vaso di rame in forma di cazzaruola larga, ma assai
più bassa, con manico lungo, che serve per friggere a fuoco lento.
Scaloppe o scaloppine. Fette di carne magra di vitella piccole, ben battute e cotte senza dorarle.
Spianatoia. Asse di abete larga e levigata sopra la quale si lavorano le paste. In alcuni luoghi, fuori
della Toscana, si chiama impropriamente tagliere; ma il tagliere è quell'arnese di legno, grosso,
quadrilatero e col manico, sul quale si batte la carne, si trita il battuto, ecc.
Staccio. Lo staccio da passar sughi o carne pestata è di crino nero doppio o di sottil filo di ferro e
molto più rado degli stacci comuni.
Tagliere. Vedi Spianatoia.
Tritacarne. Ho adottato anch'io, nella mia cucina, questo strumento che risparmia la fatica di tritare
col coltello e pestar nel mortaio la carne.
Vassoio. Piatto di forma ovale sul quale si portano le vivande in tavola.
Vitella o carne di vitella. Carne di bestia grossa, non invecchiata nel lavoro. Nell'uso comune la
confondono col manzo.
Zucchero a velo. Zucchero bianco pestato fine e passato per uno staccio di velo.
Zucchero vanigliato. Zucchero biondo a cui è stato dato l'odore della vainiglia.
Sento che alcuni trovano qualche difficoltà a raccapezzarsi per la misura dei liquidi. Davvero
che questo si chiamerebbe affogare in un bicchier d'acqua. Per bacco baccone!... comperate il
misurino bollato del decilitro e con esso troverete tutte le misure di capacità segnate in questo
volume.
La misura del decilitro corrisponde a 100 grammi di liquido.
Tre decilitri fanno un bicchiere comune, misura di cui qualche volta mi servo.
POTERE NUTRITIVO DELLE CARNI
Prima di entrare in materia, credo opportuno, senza pretendere di essere scientificamente
esatto, di porre qui in ordine decrescente per forza di nutrizione, le carni di diversi animali.
1° Cacciagione, ossia selvaggina di penna e piccione.
2° Manzo.
3° Vitella.
4° Pollame.
5° Vitella di latte.
6° Castrato.
7° Selvaggina di pelo.
8° Agnello.
9° Maiale.
10° Pesce.
Ma questo prospetto può dare argomento a molte obiezioni, perocché l'età, l'ambiente in cui
gli animali vivono, e il genere di alimentazione, possono modificare sensibilmente la natura delle
carni, non solo tra individui della stessa specie, ma render vani in parte gli apprezzamenti addotti tra
le specie diverse.
La vecchia gallina, ad esempio, fa un brodo migliore del manzo, e il montone, che si pasce
delle erbe aromatiche delle alte montagne, può dare una carne più saporita e sostanziosa di quella
della vitella di latte. Tra i pesci poi ve ne ha alcuni, fra i quali il carpione (specie di trota), che
nutriscono quanto, e più, dei quadrupedi.
FRUSTATA
Il mondo ipocrita non vuoi dare importanza al mangiare; ma poi non si fa festa, civile o
religiosa, che non si distenda la tovaglia e non si cerchi di pappare del meglio.
Il Pananti dice:
Tutte le società, tutte le feste
Cominciano e finiscono in pappate,
E prima che s'accomodin le teste
Voglion esser le pance accomodate.
I preti che non son dei meno accorti,
Fan dieci miglia per un desinare.
O che si faccia l'uffizio dei morti,
O la festa del santo titolare,
Se non c'è dopo la sua pappatoria
Il salmo non finisce con la gloria.
BRODI, GELATINA E SUGHI
1. BRODO
Lo sa il popolo e il comune che per ottenere il brodo buono bisogna mettere la carne ad acqua
diaccia e far bollire la pentola adagino adagino e che non trabocchi mai. Se poi, invece di un buon
brodo preferiste un buon lesso, allora mettete la carne ad acqua bollente senza tanti riguardi. È noto
pur anche che le ossa spugnose danno sapore e fragranza al brodo; ma il brodo di ossa non è
nutriente.
In Toscana è uso quasi generale di dare odore al brodo con un mazzettino di erbe aromatiche.
Lo si compone non con le foglie che si disfarebbero, ma coi gambi del sedano, della carota, del
prezzemolo e del basilico, il tutto in piccolissime proporzioni. Alcuni aggiungono una sfoglia di
cipolla arrostita sulla brace; ma questa essendo ventosa non fa per tutti gli stomachi. Se poi vi
piacesse di colorire il brodo all'uso francese, non avete altro a fare che mettere dello zucchero al
fuoco, e quando esso avrà preso il color bruno, diluirlo con acqua fresca. Si fa bollire per
iscioglierlo completamente e si conserva in bottiglia.
Per serbare il brodo da un giorno all'altro durante i calori estivi fategli alzare il bollore sera e
mattina.
La schiuma della pentola è il prodotto di due sostanze: dell'albumina superficiale della carne
che si coagula col calore e si unisce all'ematosina, materia colorante del sangue.
Le pentole di terra essendo poco conduttrici del calorico sono da preferirsi a quelle di ferro o
di rame, perché meglio si possono regolare col fuoco, fatta eccezione forse per le pentole in ghisa
smaltata, di fabbrica inglese, con la valvola in mezzo al coperchio.
Si è sempre creduto che il brodo fosse un ottimo ed omogeneo nutrimento atto a dar vigore
alle forze; ma ora i medici spacciano che il brodo non nutrisce e serv