professionale a giudicare però dall'esecuzione dei bozzetti esposti anche dagli altri, si dovrebbe
inferire che non pìccola parte dei concorrenti ha studi, ha inclinazioni, che non hanno nulla a che
fare colle arti plàstiche.
Affrettiàmoci a soggiùngere che l'imperizia artistica, per sè sola, non è sintomo di follia. Le
maglie del programma per il gran monumento èrano amplissime e perciò vi poteva passare
qualunque sia idèa: si èbbero quindi proposte di stabilimenti industriali (bozz. n. 22, Camillo
Ferrara) [3], od igiènici, come bagni (bozz. n. 24) [4], e fùron proposte, se non accettàbili,
ragionèvoli.
Senonchè, l'imperizia della mano, quando è accoppiata alle incongruenze della mente o ad
altri disòrdini cerebrali, concorre ad accentuare le caratteristiche della pazzìa. Non è ammissibile
infatti che una persona, nel pieno possesso della sua coscienza, si ostini a far cosa alla quale è
assolutamente incapace, e ancor meno, ne faccia pùbblica mostra e chieda un premio per essa. Pur
consentendo che i bozzetti segnati coi numeri 11, 19, 28, 16 a e b, 66, 74, 112, 115, 134, 234, 242,
277, 290, 293, 241 [5] e altri molti, non sìeno che infelici conati di majùscoli bimbi completamente
ignari dell'arte del disegno; chi non porrebbe senza alcun scrùpolo nella razza mattòide quel prof.
E.P. Wanderburg (bozzetto n. 267) che invìa all'imponente concorso un mezzo fogliuzzo di carta
con su mal delineata una colonnetta ed in cima, fatta ancor peggio, una croce? o quei progettisti
(nella più parte, come i sovraenumerati, inglesi e tedeschi [6]), fra i quali - oltre i parecchi di cui
diremo poi di propòsito - primeggia il signor Delmar Philippis William Thomas Lambert H.A.D. (n.
59) (nota filza di nomi!) che circonda il suo orrìbil progetto di tempio indiano-barocco con una
corona di sgorbi a matita, affatto incoerenti col tema, oppure quel n. 181 (Esperia, Ausonia, Italia
civile e guerriera) che ci offre tre tàvole di sìmboli ridicolosi e di più còmiche spiegazioni, o quel n.
65 (Num et Sàul?) che dal Würtemberg manda sette fogli mal disegnati a làpis con una relazione
spropositata in latino, ed anche quel n. 158 (Felix Hodorowitch) che dal Càucaso ci fà il presente di
un cerotto di gesso e di colla rossa con quattro mostricini sui lati, da lui creduti guerrieri etruschi -
bozzetto che, per la forma, il colore e la puzza, imprime allo stòmaco quel moto di ripugnanza e di
nausea che incoglie alla vista di roba in putrefazione. La qual cosa osserviamo, poichè, tra i segni
della mente non sana, è pure da annoverarsi la deficenza, più o meno totale, di quel sentimento che
insegnò all'uomo il sapone e la scopa, la decenza nei modi, il pudore nelle espressioni.
Quanto diciamo dell'imperizia artìstica, può anche valere per la sgrammaticatura letteraria, la
quale pure, quando è isolata, non dà altro indizio che della ignoranza di chi la commette. Ora,
ignoranza non è mai stata demenza: trovi anzi, non raramente, in iscritti di quasi-analfabeti
maggiore buon senso che nei volumi di parecchi filòsofi, di un Quìrico Filopanti ad esempio. Un
sorriso e non più, mèritano quindi i farfalloni grammaticali di cui sono assiepate moltissime
relazioni annesse ai bozzetti e noi non c'inquieteremo davvero per il concorso imbandito al mondo
del n. 214 (Optimus ille est qui minimis urguetur), pei leoni di marmo colchi del 253 (al Re ed alla
patria), tanto più che il loro descrittore vorrebbe posto il monumento in piazza di Tèrmini affine di
non dar disturbo; pel gioco d'aratro del n. 147 (Fr. Romaniello); per l'òrdine romano, scelto dal n.
222 (ars longa, vita brevis) come il più venusto ed eròe; nè ci formalizzeremo se gli autori del n. 40
(Pinaroli I. ed Enrico) hanno mutato tutti i q della lor relazione in altrettanti e. Quando però alla
scorrettezza puramente grammaticale si allea o si sostituisce quella delle idèe, è un altro pajo di
màniche, e l'ignorante lascia il posto al cretino o al mattòide. Ecco quindi il sig. Paolo Torchiana
(bozz. n. 206) che, propòstosi di sistemare la piazza del Pòpolo (la quale, tra parentesi, non ha alcun
bisogno di sistemazione, comechè perfetta), la ingombra di nuovi edifizi, che ròmpono la euritmìa
dei preesistenti; ecco l'autore del nùmero 36 (Ezechiel CXLVII-v. 5) un inglese, il quale, dichiarato
anzitutto che il monumento non deve avere uno scopo utilitario - chè sarebbe ignòbile idèa - non
deve èssere cioè nè un ospedale nè una scuola ecc., conchiude proponendo la costruzione di un
ponte, costruzione che, in una città traversata da un fiume, è tra tutte la più utilitaria. Cosi il n. 292
(Fons vitae), che ha preso a modello una rapa per disegnare uno scoglio e un tacchino per fingere
un'àquila - ci avverte che lo scoglio sarà fatto di ghisa: ho scelto - nota egli - tale metallo onde
caratterizzare l'època nostra; mentre il n. 46 (Concordia), progettato un mucchietto di rocce e
fontane che renda imàgine de' sette colli, vi sovrappone il tempio della Concordia con il colosso