[ XXV ] Secondo che racconta una molto antica cronica, egli fu già nelle parti della Morea un
buono uomo scultore, il quale per la sua chiara fama, sì come io credo, fu chiamato per sopranome
“maestro Chiarissimo”; costui, essendo già di anni pieno, distese certo suo trattato et in quello
raccolse tutti gli ammaestramenti dell'arte sua, sì come colui che ottimamente gli sapea,
dimostrando come misurar si dovessero le membra umane, sì ciascuno da sé, sì l'uno per rispetto
all'altro, acciò che convenevolmente fossero infra sé rispondenti. Il qual suo volume egli chiamò Il
Regolo, volendo significare che secondo quello si dovessero dirizzare e regolare le statue che per lo
innanzi si farebbono per gli altri maestri, come le travi e le pietre e le mura si misurano con esso il
regolo. Ma, con ciò sia che il dire è molto più agevol cosa che il fare e l'operare; et, oltre a ciò, la
maggior parte degli uomini (massimamente di noi laici et idioti) abbia sempre i sentimenti più presti
che lo 'ntelletto, e conseguentemente meglio apprendiamo le cose singolari e gli essempi che le
generali et i sillogismi (la qual parola dèe voler dire in più aperto volgare “le ragioni”), perciò,
avendo il sopra detto valent'uomo risguardo alla natura degli artefici, male atta agli ammaestramenti
generali, e per mostrare anco più chiaramente la sua eccellenza, provedutosi di un fine marmo, con
lunga fatica ne formò una statua così regolata in ogni suo membro et in ciascuna sua parte come gli
ammaestramenti del suo trattato divisavano: e, come il libro avea nominato, così nominò la statua,
pur “Regolo” chiamandola. Ora fosse piacer di Dio che a me venisse fatto almeno in parte l'una sola
delle due cose che il sopra detto nobile scultore e maestro seppe fare perfettamente, cioè di
raccozzare in questo volume quasi le debite misure dell'arte della quale io tratto! Perciò che l'altra di
fare il secondo Regolo, cioè di tenere et osservare ne' miei costumi le sopra dette misure,
componendone quasi visibile essempio e materiale statua, non posso io guari oggimai fare, con ciò
sia che nelle cose appartenenti alle maniere e costumi degli uomini non basti aver la scientia e la
regola, ma convenga oltre a ciò, per metterle ad effetto, aver etiandio l'uso, il quale non si può
acquistare in un momento né in breve spatio di tempo, ma conviensi fare in molti e molti anni: et a
me ne avanzano, come tu vedi, oggimai pochi. Ma non per tanto non dèi tu prestare meno di fede a
questi ammaestramenti, ché bene può l'uomo insegnare ad altri quella via per la quale caminando
egli stesso errò, anzi, per aventura, coloro che si smarrirono hanno meglio ritenuto nella memoria i
fallaci sentieri e dubbiosi che chi si tenne pure per la diritta. E se nella mia fanciullezza, quando gli
animi sono teneri et arrendevoli, coloro a' quali caleva di me avessero saputo piegare i miei costumi,
forse alquanto naturalmente duri e rozzi, et ammollirgli e polirgli, io sarei per aventura tale divenuto
quale io ora procuro di render te, il quale mi dèi essere non meno che figliuol caro. Ché, quantunque
le forze della natura siano grandi, non di meno ella pure è assai spesso vinta e corretta dall'usanza,
ma vuolsi tosto incominciare a farsele incontro et a rintuzzarla prima che ella prenda soverchio
potere e baldanza; ma le più persone nol fanno, anzi, drieto all'appetito sviate e sanza contrasto
seguendolo dovunque esso le torca, credono di ubidire alla natura, quasi la ragione non sia negli
uomini natural cosa, anzi ha ella, sì come donna e maestra, potere di mutar le corrotte usanze e di
sovenire e di sollevare la natura, ove che ella inchini o caggia alcuna volta. Ma noi non la
ascoltiamo per lo più, e così per lo più siamo simili a coloro a chi Dio non la diede, cioè alle bestie,
nelle quali, non di meno, adopera pure alcuna cosa non la loro ragione (ché niuna ne hanno per se
medesime), ma la nostra; come tu puoi vedere che i cavalli fanno, che molte volte -anzi sempre-
sarebbon per natura salvatichi, et il loro maestro gli rende mansueti et oltre a ciò quasi dotti e
costumati, perciò che molti ne andrebbono con duro trotto, et egli insegna loro di andare con soave
passo, e di stare e di correre e di girare e di saltare insegna egli similmente a molti, et essi lo
apprendono, come tu sai che e' fanno. Ora, se il cavallo, il cane, gli uccelli e molti altri animali
ancora più fieri di questi si sottomettono alla altrui ragione et ubidisconla et imparano quello che la
loro natura non sapea, anzi ripugnava, e divengono quasi virtuosi e prudenti quanto la loro
conditione sostiene, non per natura, ma per costume, quanto si dèe credere che noi diverremmo
migliori per gli ammaestramenti della nostra ragione medesima, se noi le dessimo orecchie? Ma i
sensi amano et appetiscono il diletto presente, quale egli si sia, e la noia hanno in odio et indugianla,
e perciò schifano anco la ragione e par loro amara, con ciò sia che ella apparecchi loro innanzi non
il piacere, molte volte nocivo, ma il bene, sempre faticoso e di amaro sapore al gusto ancora
corrotto; perciò che mentre noi viviamo secondo il senso, sì siamo noi simili al poverello infermo,
cui ogni cibo, quantunque dilicato e soave, pare agro o salso, e duolsi della servente o del cuoco che
niuna colpa hanno di ciò, imperò che egli sente pure la sua propria amaritudine in che egli ha la