Cicerone, e dalla _Storia veridica_di Luciano Samosatese, e venendo
già per Dante, Giordano Bruno, Ugenio e Kircher a quegli eleganti
novellatori francesi Cyrano di Bergorac, Fontenelle, Voltaire, i quali
posero negli spazi celesti il teatro delle loro argute o satiriche
descrizioni, per arrivare in ultimo al celebre Hans Pfaal d'Amsterdam,
ben noto ai lettori di Edgar Poe. La maggior parte di questi scritti
però o professano di esser pure immaginazioni poetiche, o sono scherzi
di ingegno dei quali il vero pregio deve cercarsi in tutt'altra parte
che in una seria discussione dell'argomento di cui stiamo
discorrendo. Ma nel presente secolo diversi scrittori tentarono di
elevare la pluralità dei mondi abitati alla dignità di questione
filosofica. Lasciando da parte le sedicenti rivelazioni degli
spiritisti, che ai nostri tempi hanno rinnovato ed anzi superato le
visioni di Swedenborg, basterà nominare Giovanni Reynaud (_Terre et
Ciel_) e Davide Brewster (_More Worlds than one_) i quali collocarono
negli astri le speranze della nostra vita futura e seppero trovare,
non dirò dimostrazioni (che in questa materia non ve n'è) ma pensieri
ed aspirazioni che ebbero e sempre avranno eco vivissima nel
sentimento di molti. Metafisica per metafisica, preferiamo questa ai
dogmi brutali e scoraggianti del materialismo. Quanto ai teologi
cristiani, essi, seguendo l'esempio di San Tommaso, quasi tutti
osteggiarono l'idea che possano esistere altri mondi simili al mondo
terrestre. Dico, quasi tutti, perchè noi leggiamo in uno di loro, a
cui certamente nessuno ha potuto far rimprovero d'empietà, le parole
seguenti[1]
"Il creato, che contempla l'astronomo, non è un semplice ammasso di
materia luminosa; è un prodigioso organismo, in cui, dove cessa
l'incandescenza della materia, incomincia la vita. Benchè questa non
sia penetrabile ai suoi telescopii, tuttavia, dall'analogia del nostro
globo, possiamo argomentarne la generale esistenza negli altri. La
costituzione atmosferica degli altri pianeti, che in alcuno è cotanto
simile alla nostra, e la struttura e la composizione delle stelle
simile a quella del nostro sole, ci persuadono che essi, o sono in uno
stadio simile al presente del nostro sistema, o percorrono taluno di
quei periodi, che esso già percorse, o è destinato a
percorrere. Dall'immensa varietà delle creature che furono già e che
sono sul nostro globo, possiamo argomentare le diversità di quelle che
possono esistere in altri. Se da noi l'aria, l'acqua e la terra sono
popolate da tante varietà di esse, che si cambiarono le tante volte al
mutare delle semplici circostanze di clima e di mezzo; quante più se
ne devon trovare in quegli sterminati sistemi, ove gli astri
secondarii son rischiarati talora non da uno, ma da più Soli
alternativamente, e dove le vicende climateriche succedentisi del
caldo e del freddo devono essere estreme per le eccentricità delle
orbite, e per le varie intensità assolute delle loro radiazioni, da
cui neppure il nostro Sole è esente!
"Sarebbe però ben angusta veduta quella di voler modellato l'Universo
tutto sul tipo del nostro piccolo globo, mentre il nostro stesso
relativamente microscopico sistema ci presenta tante varietà; nè è
filosofico il pretendere che ogni astro debba esser abitato come il
nostro, e che in ogni sistema la vita sia limitata ai satelliti
oscuri. È vero, che essa da noi non può esistere che entro confini di
temperatura assai limitati, cioè tra 0° e 40°-45° gradi centesimali,
ma chi può sapere se questi non sono limiti solo pei nostri organismi?
Tuttavia, anche con questi limiti, se essa non potrebbe esistere negli
astri infiammati, questi astri maggiori avrebbero sempre nella
creazione il grande ufficio di sostenerla, regolando il corso dei