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E siccome i giovanetti e tutti gli stranieri che si danno allo studio della lingua italiana
inciampano spesso, massime nelle parole sdrucciole, per non sapere quale sia la vocale della sillaba
su cui cade l'accento, e dall'eccettuarne una piuttosto che un'altra cangia affatto il senso della parola,
come in ábitino e abitíno, bália e balía, cántino e cantíno, víolino e violíno, néttare e nettáre, ecc.;
così a toglier ogni dubbio in questi casi abbiam posto l'accento acuto (′) sulla vocale su cui deve
cadere l'accento, affinchè sia reso il giusto significato delle parole impiegate dallo scrittore,
lasciandovi però il grave ogni qual volta l'accento e il suono largo concorrano nella vocale stessa.
In quanto poi agli altri vizi dei quali abbiam detto di voler far cenno, giova rammentare che
non si deve pronunziare alla francese l'u italiano nè scambiarlo col v o coll'o dicendo vuomo invece
di uomo, pusto, punte invece di posto ponte, ecc.; dare all's il suono della z e viceversa,
pronunziando contessa per contezza, ricchessa per ricchezza, ecc.; mutare il c in s nelle parole
uscenti in sce sci, dicendo rincresse per rincresce, pesse per pesce, messi per mesci riessi per riesci,
ecc.; oscurare il g nei vocaboli che terminano in gna, gne, gno, come bisogna, campagne, compagno,
facendoli quasi suonare come se fosse scritto bisonia, campanie, companio.
Sta poi anche bene il ricordare lo scambio che si fa del suono del t con quello del d, e del p
con quello del b, pronunziando nobilmende, dolcemende, ecc. esembio, scembio, ecc., per
nobilmente, dolcemente, esempio, scempio
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Indicati così i principali difetti di pronunzia delle parole staccate, crederemmo mancante il
nostro lavoro, se colla brevità che ci siamo imposti non dicessimo anche qualche cosa circa la
pronunzia delle parole tra loro riunite nel discorso, del giusto colorito di esso, del modo insomma di
leggere bene.
Il ben leggere è il primo scalino dell'arte del porgere, la quale può allora trasmutarsi in bella
recitazione e declamazione.
«Tutti leggono (dicono Larive e Lemercier), ma pochissimi sanno leggere.»
E ciò dipende, soggiungiamo noi, dai cattivi metodi che si adoperano coi giovanetti in questa
importantissima parte della educazione privata e pubblica.
Imperciocchè tra i vizi che si notano ordinariamente nelle scuole primeggia la cantilena o
quell'uniforme alzarsi e abbassarsi della voce che è un vero strazio ai ben costrutti orecchi e un
indizio certo che non s'intende e non si sente bene quello che si legge.
Non devono infatti i giovanetti avvezzarsi nella lettura a inflettere la voce a caso, e a modo di
abito qualunque collocare gli accenti, ma invece, rispettati i segni ortografici, a porre in rilievo
quelle parole che per il loro valore grammaticale e logico meritano di spiccare nelle proposizioni,
nelle frasi e nei periodi, e dare in tal modo a ogni parte e all'insieme d'ogni discorso il conveniente
colore. - Così e non altrimenti si ottiene nella lettura la musica della parola parlata; e il lettore,
facendo chiaramente comprendere e sentire quello che dice, rendesi gradito a chi lo ascolta.
Educando in tal guisa i giovanetti nella lettura di cose adatte alla loro intelligenza, crediamo
che con meno sbadigli si addestrerebbero all'analisi grammaticale e logica e alla infinita serie dei
complementi dei quali hanno zeppe le grammatiche, e assai meglio di quello che non si faccia con
aride regole e stecchiti esempi.
Ma ad ottenere questo utile intento nella lettura fa mestieri por mente ad un'altra cosa
interessantissima, vale a dire, di assuefare i giovanetti a contenersi nei giusti confini della propria
voce e a non ispostarla mai; perchè, oltre la spiacevolezza del suono, gli sforzi di essa possono
nuocere agli organi della respirazione, i quali invece da un ben regolato esercizio ritrar debbono
vigore e sviluppo.
Nè è da passarsi sotto silenzio il modo falso d'inspirare ed espirare durante la lettura, alla
qual cosa tanto poco badano i maestri, sebbene arrechi danni fisici a chi legge, indebolisca la
espressione della parola e produca sgradito effetto negli ascoltanti.
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In questi difetti e in molti altri che riscontrarsi possono nei trattati di pronunzia, cadono specialmente i Lombardi, i
Piemontesi e i Napoletani. - Infiniti poi sono i vizi di pronunzia che provengono dal raddoppiare, e dallo sdoppiare
erroneamente le consonanti.